email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Arnaud des Pallières • Regista

"Ciò che mi piace nel cinema è l’invenzione"

di 

- Incontro con l’appassionato regista francese Arnaud des Pallières che ci racconta la genesi di Orpheline

Arnaud des Pallières • Regista

Svelato a Toronto e proiettato in competizione a San Sebastian, Orpheline [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Arnaud des Pallières
scheda film
]
è il quinto lungometraggio di finzione cinematografica di Arnaud des Pallières dopo Drancy avenir (1996), Adieu (2004), Parc [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
(selezionato a Venezia nel 2008, a Orizzonti) e Michael Kohlhaas [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Arnaud des Pallières
scheda film
]
(in competizione a Cannes nel 2013). Incontro a Parigi con il cineasta, a pochi giorni dall’uscita francese del film.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Cineuropa: Orpheline si ispira alla giovinezza della sua co-sceneggiatrice Christelle Berthevas. Perché ha voluto farne un film?
Arnaud des Pallières: Dopo Michael Kohlhaas, volevo lavorare di nuovo con Christelle. Conoscevo la sua storia da diversi anni e mi aveva emozionato molto. E da tempo, avevo l’impressione di non essere mai stato all’altezza di un personaggio femminile forte e complesso. Ho chiesto a Christelle di buttar giù su un foglio quello che le veniva e come le veniva, senza cercare di dare una forma di sceneggiatura perché volevo provare a essere fedele all’emozione che avevo avuto io quando mi aveva raccontato la sua storia in modo caotico, un po’ frammentario, non ordinato. Pensavo ci fosse qualcosa da scoprire nella forma narrativa del "come si racconta la propria vita". Le prime cose erano un ammasso di eventi, scenette, personaggi, sentimenti, emozioni. Poi abbiamo dato una sistemata e sono rimaste tre grandi età: bambina, adolescente e giovane donna. Era questo il cuore del film, quasi al 100% autobiografico. Poi ci siamo detti che mancava qualcosa, una sorta di compimento, e che era probabilmente il momento in cui il personaggio, attraverso una tappa particolare della vita, diventa adulto. Poi è venuta l’idea della struttura a matrioska: cominciare da questo personaggio adulto e, come quando apri una matrioska, trovare bambole più piccole all’interno e andare dalla media fino alla più piccola, e successivamente ritrovare la seconda metà della vita della giovane adulta.

Perché ha scelto quattro attrici per incarnare queste quattro età?
Scoprendo che il film non sarebbe stato lineare, ma articolato attorno a momenti molto precisi di età estremamente differenti. Perché 7, 13 e 20 anni sono forse le età della vita in cui si cambia di più, e il personaggio avrebbe in seguito aspettato e messo al mondo un bambino... Di solito al cinema, quando lo stesso attore incarna un personaggio in età diverse, trovo sempre che ci sia un parente povero, un’età in cui si proiettano meno emozioni. Mi sono detto che si poteva proporre allo spettatore una regola molto più semplice: un’attrice per ogni età e lo stesso tempo dedicato a ciascuna di esse. Ovviamente, quando abbiamo cominciato il casting si è posta la questione della somiglianza. Ma ho pensato subito che se avessi cercato attrici somiglianti, quello sarebbe diventato il mio problema numero 1, mentre l’importante era lavorare con le migliori attrici possibili, con quelle che amo di più, che mi emozionano di più, e che sarebbero state le più adatte a rappresentare dall’interno ciò che mi toccava di questo personaggio.  

Orpheline è un ritratto di donna che sfiora molti generi.
Il film segue il personaggio che attraversa mondi differenti, fa incontri, si muove. E il film si muove con lei. Ma ho filmato allo stesso modo quello che può sembrare un road movie, un thriller negli ippodromi, un film naturalista in campagna o nei locali notturni. L’unico genere cinematografico del film è il genere del personaggio. La particolarità del mio lavoro di messa in scena, in immagini e suono è stata di vedere e sentire attraverso il personaggio. Per far ciò era necessaria qualche regola tecnica, qualche principio nel posizionamento della camera e nel modo di tagliare la storia, e questi principi sono gli stessi a prescindere dall’universo che attraversi. 

Un adattamento di un romanzo dell’americano John Cheever, un’immersione nel XVI secolo ispirato a un’opera del tedesco Heinrich von Kleist con un danese nel ruolo principale, e ora quello che lei chiama "un ritratto di donna cubista", per non parlare degli ultimi tre suoi film. Da dove viene questo suo gusto dell’esplorazione?
Potrei rispondere con una frase di Gertrude Stein: "Se lo so fare, perché farlo?". Quindi, cerco di fare i film che non so fare. Una volta che ho imparato a fare una cosa, ho una sola urgenza, ed è quella di andare verso qualcosa che non so fare per vedere come si fa. Non viaggio molto nella mia vita privata, non ho una vita avventurosa, ma in compenso sono più avventuriere nel mio lavoro. Amo esplorare e, per citare la frase di Emmanuel Carrère, faccio film "per vivere altre vite rispetto alla mia". E nel mio prossimo film, andrò in un’altra direzione ancora, perché lo trovo appassionante e perché quello che mi piace nel cinema è l’invenzione, inventare modi per raccontare storie.

Di cosa parlerà il suo prossimo film?
Il programma è in parte contenuto nel suo titolo: Un homme qui disparaît. E’ la storia di un uomo che manda tutto all’aria dopo il suo divorzio e diventa un vagabondo.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy