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Hubert Charuel • Regista

"La dimensione della suspense"

di 

- CANNES 2017: Incontro con il cineasta francese Hubert Charuel che ha presentato il suo primo lungometraggio, Petit Paysan - Un eroe singolare, in proiezione speciale alla Semaine de la Critique

Hubert Charuel  • Regista
(© Aurélie Lamachère / Semaine de la Critique)

Presentato in proiezione speciale alla Semaine de la Critique del 70° Festival di Cannes, Petit Paysan - Un eroe singolare [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Hubert Charuel
scheda film
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è il primo lungometraggio di Hubert Charuel, che firma un film di suspense sulla quotidianità di un contadino pronto a tutto pur di salvare il suo bestiame minacciato da un’epidemia.

Cineuropa: E’ piuttosto raro vedere il mondo rurale rappresentato nel cinema francese. Lei viene da una famiglia di contadini, ma non è questo il motivo per cui ha fatto questo film. Che cosa l’ha spinta a farlo?
Hubert Charuel: Innanzitutto qualcosa di intimo, che porto dentro di me. Sono figlio di contadini, e anche se non rileverò la fattoria dei miei genitori, fare un film su questo mondo era una necessità. Dovevo tirar fuori questa storia e la vita del personaggio di Pierre sarebbe stata la mia, se non avessi deciso di fare cinema e soprattutto non fossi entrato alla Fémis. Poi, nella sceneggiatura che ho scritto con Claude Le Pape, c’era la volontà di parlare di questo mondo dall’interno e allo stesso tempo di allontanarsi un po’ dal naturalismo e iniettarvi un po’ di genere e di finzione. Infine, mi interessava parlare del rapporto molto particolare che in questo ambiente si ha con gli animali. Quando avevo una decina d’anni, c’è stata un’epidemia di afta epizootica ed eravamo davanti al telegiornale che spiegava il principio della mattanza: se c’era un animale malato, bisognava abbattere tutta la mandria. E mia madre disse allora: "Se capita a noi, mi suicido". Per me, in questo episodio c’è un po’ tutto; dall’alto dei miei dieci anni, la fine delle vacche era la fine del mondo.

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Come ha fatto a non cadere nel documentario pur restando credibile?
E’ stata una cosa molto travagliata in fase di scrittura. Abbiamo deciso rapidamente di fare un film di suspense nel mondo contadino e abbiamo scritto di conseguenza, il che significava raccontare una storia di vita e di morte attorno agli animali. Perché hanno un’identità e non si può far di loro ciò che si vuole. La suspense passava per l’attaccamento che il personaggio principale ha per le sue vacche, che è costretto a uccidere in prima persona. E sbarazzarsi della carcassa di una mucca è ben più complicato che farlo con un cadavere umano, perché pesa 900 chili.

Come ha gestito le riprese con gli animali?
Non era facile. Ma l’attore ha gestito molto bene gli animali. Swann Arlaud è entrato completamente nel ruolo, ha fatto un periodo di formazione, è venuto a vivere dai miei genitori, ha vissuto come un contadino. Bisognava che credessi ai gesti dell’attore, se no sarebbe stato impossibile per me raccontare questa storia. Una settimana prima delle riprese è venuto a familiarizzare con la mandria. Conosco molto bene come funzionano psicologicamente le mucche. Poi è arrivata la troupe, le vacche si sono abituate alla troupe e la troupe alle vacche. Questa preparazione era molto importante perché non si può arrivare e girare così in una stalla dove si munge e c’è voluto un periodo di adattamento tra gli uomini e gli animali.

Il film tratta anche della solitudine di Pierre e in particolare il suo rapporto con il mondo esterno attraverso Internet e i suoi pochi amici.
Sono figlio di contadini, ma i miei amici dei paraggi ascoltano l’hip hop, vanno su Facebook, hanno Internet. E’ un qualcosa che non immagini immediatamente quando si parla di campagna ed era importante rappresentare questa modernità. Tutto ciò partecipa anche della solitudine del personaggio che si chiude sempre più in se stesso. Era inoltre importante mostrare che i momenti in cui Pierre è più a suo agio a livello sociale, è quando sta con le sue mucche. Sono anche le sue interazioni sociali che fanno avanzare il racconto e c’è tutto un insieme di distrazioni che contribuiscono alla dimensione della suspense: deve far vedere che tutto va bene, mentre va tutto molto male nella sua azienda. Le cose vanno bene con sua sorella, ma perché è veterinaria e si occupa del bestiame. Per contro, mangiare al ristorante con una ragazza, passare una serata con gli amici, non è nelle sue corde. E’ una storia d’amore tra un uomo e le sue mucche, e ogni elemento esterno lo disturba e lo riporta alla sua solitudine.

Quali erano le sue intenzioni visive?
L’intenzione era glissare partendo da un aspetto naturalistico e andando poco a poco verso un film di suspense. La sequenza onirica introduttiva serve a marcare il fatto che le vacche occupano tutta la vita di Pierre, compresi i suoi sogni, ma anche a dare subito il tono indicando che il film non sarà solo naturalista e che a un certo punto le cose si svolgeranno più nella testa del personaggio. E con il mio direttore della fotografia, volevamo oscillare progressivamente da un universo naturalista, solare, verso qualcosa di molto più industriale, con la luce al tungsteno, lavorare gli interni, la notte, giocare molto di più sui contrasti…

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(Tradotto dal francese)

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