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Alen Drljević • Regista

"Interrogarsi sulle proprie verità: a questo serve il cinema"

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- KARLOVY VARY 2017: Cineuropa ha parlato con il filmmaker bosniaco Alen Drljević, il cui primo lungometraggio Men Don't Cry è stato presentato in prima mondiale in competizione ufficiale

Alen Drljević • Regista

Il primo film del regista bosniaco Alen Drljević Men Don't Cry [+leggi anche:
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ha avuto la sua prima mondiale in concorso ufficiale a Karlovy Vary. Cineuropa ha parlato con lui dell’idea di questo film e della difficoltà di affrontare i ricordi di guerra.

Cineuropa: Come nasce l’idea del film?
Alen Drljević:
Il film si basa su un vero workshop di pace, organizzato da un'associazione che aiuta i veterani di guerra di Bosnia-Erzegovina, Serbia e Croazia. Inizialmente pensavo di farci un breve documentario, così nel 2010 ho fatto domanda per partecipare a uno di questi workshop, poiché ho anche combattuto come soldato nella guerra in Bosnia. Pensavo che la guerra e le mie relative esperienze fossero molto dietro alle mie spalle, che lo facessi solo per le finalità del documentario. Ma quando sono arrivato lì, l’intero processo mi ha coinvolto così profondamente che mi sono scordato del progetto. Lì ti siedi con persone che letteralmente si sparavano a vicenda. Naturalmente, si parte dalla diffidenza, l'ansia e il disagio, e poi si sviluppa lentamente una specie di comprensione, compassione, e infine c’è un effetto catartico. Allora ho capito quante emozioni ed esperienze represse e sepolte avessi in me, questo seminario mi ha aiutato immensamente. Ed è lì che ho avuto l'idea di trasformarlo in un film di finzione.

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Come ha stabilito l’approccio registico?
Ho voluto mantenere alcune delle qualità documentali, ci sono quindi due non professionisti che recitano nel film, veri veterani di guerra. Inoltre, alcuni degli attori erano in guerra. Per esempio, il personaggio di Valentin, interpretato da Leon Lučev, si basa sulle esperienze proprie dell'attore nella guerra in Croazia. Ed Emir Hadžihafizbegović era nella guerra in Bosnia. Ma anche coloro che non hanno combattuto in guerra, portiamo tutti questo peso, abbiamo tutti domande senza risposta. Così ci siamo immersi completamente, e ogni attore ha rapidamente trovato in se stesso qualcosa che era legato al suo personaggio e ai suoi traumi. Avevamo uno script solido e praticamente blindato, ma nelle prove di recitazione dieci giorni prima delle riprese, ho lasciato improvvisare gli attori.

L'approccio documentario era presente anche nel lavoro con la cinepresa. Ho deciso di filmare le grandi scene di psicodramma con due camere e lasciare che gli attori facessero le loro cose. Ogni scena psicodrammatica è stata girata in un colpo solo. E’ stato molto faticoso, dopo tre o quattro take sembrava che avessimo girato per 24 ore.

Ma la parte dello psicodramma non era così presente nel workshop originale?
In realtà, è un laboratorio di pace, quindi implica alcuni metodi terapeutici, ma neanche tanto, così abbiamo deciso di aggiungere più psicodramma. Secondo lo psicologo Vladan Beara che ha lavorato con i veterani di guerra per venti anni, il modo migliore per affrontare i propri traumi di guerra è incontrare un ex nemico. Inoltre, volevo evitare troppi monologhi. Sapevo fin dall'inizio che non volevo usare i flashback, perché avrebbero diminuito la tensione e spezzato la carica emotiva che il film stava costruendo. Quindi lo psicodramma è un approccio molto più cinematografico, al contrario di personaggi seduti che parlano delle loro esperienze.

Lei tratta della guerra e delle sue conseguenze in molti suoi film. Pensa di aver finito ora?
Sono andato in guerra quando ero molto giovane, ed è qualcosa con cui convivo. Ma credo che le società dei paesi dell'ex Yugoslavia non siano ancora arrivate ad affrontare il loro passato. Penso che stiano cominciando solo adesso. E non è una cosa insolita, anche i tedeschi hanno cominciato a fronteggiare il nazismo solo vent’anni dopo la Seconda guerra mondiale. Credo che finalmente stiamo cominciando a produrre film che non cercano di dirci solo le loro versioni della verità, ma film in cui ci interroghiamo sulle nostre verità. Credo che questo sia uno degli obiettivi del cinema e dell'arte in generale.

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(Tradotto dall'inglese)

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