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Karel Och • Direttore artistico del Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary

“Credo fermamente nell’originaria raison d’être dei festival”

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- A Karlovy Vary, abbiamo raggiunto Karel Och per parlare con lui della sua carriera e del suo coinvolgimento al 28 Times Cinema di Venezia

Karel Och  • Direttore artistico del Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary
(© KVIFF)

Dalla sua occupazione principale in qualità direttore artistico del Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary, che svolge dal 2010, al suo coinvolgimento nel comitato di selezione del LUX Prize e alle molte responsabilità derivanti da altre attività professionali, Karel Och ha sviluppato una prospettiva pan-europea sull’industria cinematografica nostrana. Con le Giornate degli Autori a Venezia, è stato immerso negli ultimi tre anni nell’iniziativa 28 Times Cinema come mentore per una giuria eccezionale, composta da giovani provenienti ognuno da un diverso paese dell’Unione Europea. Qualche settimana prima dell’evento, Cineuropa (partner anche del #28TC) ha incontrato Och per sapere cosa ne pensa di questa esperienza e per parlare dello stato attuale del panorama dei festival.

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Cineuropa: Qual è stata la sua prima esperienza in un festival cinematografico?
Karel Och:
Non frequentavo molto i festival prima di lavorare al Karlovy Vary. In ogni caso, devo moltissimo ai programmatori della cineteca di Praga (il cinema del National Film Archive), dove ho passato molto tempo. Nel 2001, ho partecipato all’IDFA, già come membro del comitato di selezione del Karlovy Vary IFF. Ricordo distintamente la sensazione di solitudine di allora, perché non conoscevo nessuno dell’industria del cinema. Ma, allo stesso tempo, quello mi permise di concentrarmi interamente sui film e immergermi nei documentari.

Nel 2017, lei ha fatto parte della giuria di Un Certain Regard a Cannes. Che cosa ha imparato da quella esperienza?
È stato un privilegio unico per molti versi, soprattutto perché ho potuto conoscere un po’ meglio il festival dall’interno. Ero entusiasta all’idea di seguire il festival giornalmente e da una nuova prospettiva, e sono rimasto impressionato dall’ammirevole dedizione di ogni singolo membro dello staff di Cannes.

Cosa spera di apportare al 28 Times Cinema, e cosa pensa di ricevere in cambio da questa giuria di giovani europei?
Insieme al presidente della giuria, cerchiamo di mostrare ai membri tutta una serie di nuovi modi di pensare il cinema. Evidenziamo alcuni aspetti del fare cinema da prospettive che magari i ragazzi possono non conoscere. Procediamo gradualmente, stando attenti a non influenzare la loro opinione. Adoro ascoltare i loro argomenti e le loro conversazioni, le trovo rinvigorenti. Portano nuove energie al dibattito, senza alcuna ipocrisia né secondi fini.

Pensa che una tale iniziativa, nascendo all’interno del Festival di Venezia, possa aiutare a creare una nuova e dinamica generazione di professionisti dell’industria?
Non è che lo pensi, è un dato di fatto. Dopo soli tre anni di impegno in prima persona, mi capita spesso di incontrare giovani che ora lavorano nell’industria, che siano assistenti in una società di distribuzione, membri dell’organizzazione di un festival o aspiranti giornalisti. Ogni volta, facciamo delle chiacchierate sui film e sono entusiasmanti come quelle che facevamo alle Giornate degli Autori, a Venezia. La loro passione è evidente.

In qualità di direttore artistico in Europa, quali sono le competenze chiave da possedere e i legami da creare?
Un’inarrestabile passione per il cinema e rispetto per il lavoro dei tuoi colleghi, ma anche per gli altri festival. Inoltre, la comunicazione è fondamentale.

E quale, di queste qualità, ha in comune con gli altri programmatori delle Giornate degli Autori?
Tutto, ed è questo il privilegio del far parte di una squadra. Abbiamo un legame speciale.

Dal suo punto di vista di professionista, si considera ancora parte del “pubblico” di un film?
Alla visione di ogni film, mi considero sempre parte del pubblico. L’essere anche professionalmente in questo mondo mi dà l’eccezionale possibilità di condividere questa esperienza di spettatore con i visitatori del festival o con chiunque voglia un consiglio.

Ci sono migliaia di festival in Europa e ognuno ha la sua importanza. Tuttavia, questo sistema di promozione di talenti deve adeguarsi ai programmi dell’industria e alle strategie globali. Cosa pensa di questa tendenza incalzante?
Credo fermamente nell’originaria raison d’être dei festival, ovvero promuovere filmaker che vogliono sperimentare nuovi e originali modi di raccontare storie. Proteggere gli autori, aiutarli a muovere i primi passi nella giungla dell’industria cinematografica e facilitare il contatto con il pubblico sono solo alcuni dei motivi per i quali il nostro lavoro è fondamentale oggi come ieri. Se riusciremo a proseguire in questa direzione, ci sarà sempre un futuro per i festival, nonostante i programmi dell’industria e le strategie globali.

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(Tradotto dall'inglese)

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