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BIF&ST 2018

Daniele Vicari • Regista

“Nella stampa come al cinema, abbiamo il dovere di essere critici fino in fondo”

di 

- Daniele Vicari ci parla del suo nuovo film, Prima che la notte, che rievoca la figura di Pippo Fava, intellettuale straordinario ucciso dalla mafia. In prima mondiale al Bif&st

Daniele Vicari  • Regista

E’ con grande partecipazione e un lungo applauso che è stata accolta la prima mondiale, al Bif&st di Bari, del nuovo lungometraggio di Daniele Vicari, Prima che la notte [+leggi anche:
intervista: Daniele Vicari
scheda film
]
, con protagonista Fabrizio Gifuni. Il film, che rievoca la figura dello scrittore, giornalista e drammaturgo siciliano Pippo Fava, ucciso dalla mafia nel 1984 per le sue coraggiose inchieste, è prodotto da IIF - Italian International Film di Fulvio e Paola Lucisano e sarà trasmesso su Rai Uno il 23 maggio, in occasione della Giornata della legalità.

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Cineuropa: Questo è il suo primo film per la tv. Si dice che cinema e televisione siano ormai sullo stesso piano. E’ così anche per lei?
Daniele Vicari: Io non faccio alcuna differenza tra cinema e tv, ma in Italia questa distinzione c’è perché troppo spesso, negli anni passati, la qualità dei film tv era scadente. Che in tv la costruzione delle immagini e il lavoro su scenografia e costumi non siano valorizzati come al cinema è un errore tecnico-produttivo, oltre che artistico. Quando sono arrivati i canali satellitari che hanno cominciato a fare tv con mezzi importanti, si è vista subito la differenza. Ora la tv generalista si sta adeguando, il tentativo di Rai Fiction di migliorare la qualità è evidente. 

Il fatto che questo film fosse destinato al piccolo schermo ha cambiato in qualche maniera il suo modo di lavorare?
C’è stata una sola differenza: sapendo che il film doveva parlare a milioni di persone, ho deciso di spostare tutti i livelli di complessità all’interno della costruzione dei personaggi e di ogni singola scena, in modo che il linguaggio fosse fluido ma non privo di problematicità. Questo sforzo mi ha fatto bene, mentre mi dicevo “questa cosa la posso raccontare nella maniera più semplice possibile” sentivo ogni volta di aver guadagnato qualcosa. Ci sono sceneggiature per le quali fare movimenti complessi è sbagliato, perché si crea un distacco tra il regista e la storia, e tra il regista e lo spettatore. Questo è un film corale, c’è un protagonista ma non assoluto, perché i protagonisti assoluti non muoiono a venti minuti dalla fine. La struttura narrativa è studiata nel montaggio in modo tale che lo spettatore accetti questo cambiamento radicale nella narrazione, si abitui all’assenza del suo protagonista, senza rinunciare all’emozione.

Come si è avvicinato alla figura di Pippo Fava e a questo progetto?
IIF ha acquistato i diritti del libro omonimo scritto da Claudio Fava e Michele Gambino, e la Rai ha aderito. Io sono arrivato in una fase successiva, ho accettato con gioia. Sono un ammiratore di Fava, è uno dei grandi intellettuali troppo poco conosciuti, antesignano di una serie di battaglie ambientaliste che conducevo anch’io negli anni ’80, contro gli impianti petroliferi in Sicilia, ad esempio. All’università, fotocopiavamo gli articoli da I Siciliani (la rivista diretta da Fava, ndr) e li distribuivamo. Per me, questa è una storia che poggia su due pilastri: l’intellettuale che cerca di affermare la sua libertà in tutte le sue forme espressive, e l’uomo generoso che a un certo punto della sua vita restituisce alla società ciò che ha avuto. Per questo ci siamo concentrati sull’ultima fase della sua vita, un 60enne che da Roma torna nella sua città, Catania, mette su una scuola di giornalismo straordinaria e realizza un giornale innovativo.

Claudio Fava e Michele Gambino, che sono stati allievi di Fava (il primo è anche suo figlio), hanno collaborato alla sceneggiatura. Come avete lavorato sul materiale di partenza del libro?
Il libro è a due voci, i due giornalisti raccontano, ciascuno dal proprio punto di vista, la vicenda e soprattutto la personalità di Fava, cosa che ho cercato di mettere nel film. Ma non è un film dove si palleggiano due punti vista, è piuttosto servito per costruire un personaggio con più sfaccettature. Il lavoro fatto è stato più psicologico, queste persone vicine a Pippo hanno dovuto prendere distanza e cercare di raccontarlo a 360 gradi. Abbiamo ricostruito il contesto umano, prima sulla carta e poi in una specie di laboratorio teatrale in cui abbiamo riprodotto il rapporto tra maestro e allievi.

La fotografia è molto solare, i colori caldi. Cosa ha guidato queste scelte?
Ho pensato con il direttore della fotografia, Gherardo Gossi, di restituire il calore umano che ha caratterizzato il rapporto tra Fava e i suoi “carusi”, e tra Fava e suo figlio. Volevamo creare un contrasto tra la durezza della battaglia che conducono e la vicinanza umana tra i personaggi. Pur avendo girato in digitale, abbiamo voluto utilizzare obiettivi, filtri e grana in maniera espressiva. 

Il film è un omaggio ai giornalisti con la schiena dritta. Ce ne sono ancora oggi, secondo lei?
Molti giornalisti italiani sono sotto scorta, sono eroi civili con una vita molto grama: l’Italia è al 46° posto al mondo per libertà di stampa. Quella di Fava è una storia contemporanea, ha dato la sua vita per questa idea di giornalismo e ha creato le condizioni affinché il suo sacrificio non fosse inutile. Ce ne sono di grandi giornalisti, ma la nostra società non è sensibile alla questione della libertà di stampa. E’ una battaglia sempre aperta, e oggi di figure come Fava abbiamo bisogno. Nella stampa come al cinema, abbiamo il dovere di essere critici fino in fondo, se non siamo liberi non facciamo un buon servizio né a noi stessi né alla collettività.

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