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VENEZIA 2018 Orizzonti

Yaron Shani • Regista

“Sentirsi bene fa parte del problema”

di 

- VENEZIA 2018: Abbiamo incontrato l'israeliano Yaron Shani per parlare di Stripped, un dramma presentato nella sezione Orizzonti che esplora il tema sconvolgente della violenza sessuale

Yaron Shani • Regista
(© La Biennale di Venezia - foto ASAC)

Con il suo precedente lungometraggio, Ajami [+leggi anche:
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, co-diretto insieme a Scandar Copti e che ha goduto di un positivo percorso nei festival culminando con una candidatura all’Oscar come miglior film in lingua straniera, da solo, Yaron Shani ha deciso di indirizzarsi verso nuovi lidi con Stripped [+leggi anche:
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intervista: Yaron Shani
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, prima pellicola della trilogia “The Love Trilogy”, che racconta la storia della cotta di un giovane ragazzo nei confronti di una vicina più grande di lui e che tende a offuscare ancora di più i già precari limiti tra realtà e finzione. Il film è proiettato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia.

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Cineuropa: Perchè ha deciso di oscurare digitalmente alcune parti del corpo e perfino le faccie nel film?
Yaron Shani: Le ragioni sono molte. Prima di tutto, questo non è un film per così dire “di finzione”, nel senso più comune del termine. È chiaramente inventato ma c’è tanta realtà personale in esso. Non riesco a immaginare Alice e Ziv [interpretati da Laliv Sivan e Bar Gottfried] come personaggi immaginari e, anzi, nessun spettatore dovrebbe. Sono personaggi vivi e pretendono una certa sensibilità e considerazione. Bisogna rispettarli in quanto esseri umani, come si farebbe in un documentario. Tra tutte le altre cose,  Stripped  riguarda anche “l’altro”. Chi è quest’altro quindi? Si tratta di una persona o di un corpo privo di faccia da trattare come un oggetto? È qualcosa a cui ci si deve abituare e vedere gli altri due film potrebbe aiutare.

Se fosse stato veramente questo il problema, perchè non risolverlo coprendoli?
Perché è un film incentrato sul corpo: la nudità, la vergogna e la violenza derivata dal sesso. Volevo dimostrare che nonostante si faccia molta strada, qualche volta si deve sapere dove fermarsi. È interessante perché nel non mostrare nulla, sembra quasi che tutto sia molto più esposto. Lo si nota maggiormente, ci si rende conto che c’è qualcosa che deve essere coperto. Volevo che lo spettatore si fidasse di me e capisse che nel fare qualcosa del genere, ho le mie ragioni per farlo.

Ha chiesto ai suoi attori di diventare i loro personaggi per tutta la durata delle riprese. Cosa stava cercando di ottenere?
Abbiamo lavorato per un anno nel costruire qualcosa che potesse sembrare veramente reale. Niente era da copione. Quando a Ziv viene chiesto di suonare la chitarra e lui si rifiuta, non sono stato io: è stato lui. Non potevo scrivere questo dialogo. Era semplicemente lì, pronto per essere interpretato. Una volta finite le riprese, avevamo un materiale di 360 ore. Molto più di un documentario, ma contrariamente a quest’ultimo, noi sapevamo dove stavamo andando. Ho portato a termine le mie ricerche e ho trovato loro, così ho riscritto i dialoghi secondo le loro personalità e in base a cosa loro stessi potessero apportare, secondo me.  Durante le riprese, erano liberi semplicemente di essere lì. A riprese finite, avevamo così tante possibilità che ho “riscritto” tutto di nuovo nella fase di montaggio. Si tratta di un nuovo approccio alla recitazione, alla sceneggiaura, alla regia e a tutto il resto. Le successive parti della trilogia saranno un po’ differenti, racconteranno storie differenti con altrettanti differenti personaggi. Ѐ possibile vederne anche uno solo e rimanerne comunque soddisfatti. Tuttavia, ho girato i tre film tutti nello stesso momento e sono connessi tra di loro: fanno parte dello stesso universo.

Lo stupro è molto spesso usato come espediente narrativo, oggigiorno, per spiegare la natura complessa di un personaggio femminile. Come ha voluto approcciarsi a un tale argomento senza far sembrare di aver scelto la via più semplice?
Come uomo adulto, volevo provare a capire cosa significa quando il tuo corpo ti viene sottratto. Dovevo essere modesto e sensibile a riguardo e mi serviva un metodo per fornire a Laliv il giusto spazio di cui necessitava per scoprirlo. Nel film, l’attacco di per sé non è un problema. Con Alice, il problema è invece cosa si prova a essere un essere umano che qualcun altro sta sfruttando. Cosa significa tutto questo? Una delle cose che mi preoccupa nel mondo del cinema è che le persone tendono solo a concentrarsi su questo terribile atto. Ma ciò che si crea nel prima e nel dopo è dove il reale orrore si cela.

Ha mai pensato alla pellicola  Non si desidera la donna altrui di Krzysztof Kieślowski del 1988 nel girare questo suo film?
Certo. Ma non solo questo. La storia di questo ragazzo che si innamora di una bellissima vicina più grande, è una storia già raccontata. Ho pensato molto di più a questo classico concetto comico in cui un gruppo di ragazzi riescono finalmente a fare sesso.

Un po’ come in Risky Business - Fuori i vecchi... i figli ballano, quindi.
Tutte le strade portano a Tom Cruise [ride]. Gli israeliani hanno i loro problemi unici nel loro genere, così come tutto il resto del mondo. In ogni cultura, la mascolinità tossica causa gli stessi problemi. Così, anche se ho incentrato un film su un qualunque ragazzo di nome Zic, nella sua unicità, rappresenta qualunque altra persona nel mondo.

Dopo il successo di Ajami, ha mai pensato di indirizzarsi verso progetti cinematografici un po’ più commerciali? Stripped, insieme alle altre due pellicole, sembrano suggerire qualcosa di totalmente diverso.
Ricordo ancora questi due agenti avvicinarsi a me e dirmi di trasferirmi negli Stati Uniti. Ma io lì che ci vado a fare? A Hollywood, non mi avrebbero mai permesso di fare film del genere. Lì si tratta principalmente di fare intrattenimento e soldi, e come può vedere, non mi si addice. Voglio parlare di dolore, perchè penso sia importante. È qualcosa di cui abbiamo bisogno ma che non vogliamo. Tutti vogliamo stare bene e questo è parte del problema stesso, poiché dobbiamo provare dolore così da comprendere perché siamo qui e in che modo possiamo entrare in sintonia con l’altro. I film di Hollywood non offrono tutto ciò. Ci mettono a nostro agio e poi ci mandano a casa tranquilli. Ma poi... niente!

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(Tradotto dall'inglese da Carlotta Cutrale)

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