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SAN SEBASTIAN 2018 Concorso

Valeria Sarmiento • Regista

"Raccontare il destino delle donne a volte è più importante che fare un pamphlet femminista"

di 

- SAN SEBASTIÁN 2018: La regista di origine cilena Valeria Sarmiento ci parla del suo ultimo lavoro, il film d'epoca El cuaderno negro, in concorso per la Concha d'Oro

Valeria Sarmiento  • Regista
(© San Sebastián International Film Festival)

La regista veterana Valeria Sarmiento, che lavora tra il Cile e l’Europa, ha presentato al 66° Festival di San Sebastián in concorso per la Concha d’Oro il suo ultimo film, El cuaderno negro [+leggi anche:
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, un feuilleton d’epoca che adatta una sceneggiatura scritta in origine per il suo defunto marito, il maestro Raúl Ruiz.

Cineuropa: Perché raccontare questa storia?
Valeria Sarmiento:
E’ una sceneggiatura che Carlos Saboga ha scritto per Raúl Ruiz dopo Misterios de Lisboa [+leggi anche:
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, a partire dallo stesso scrittore, Camilo Castelo Branco. La lessi e mi affascinò la storia di questa donna. La presentai a Paulo Branco, e piacque anche a lui, perché lui ama molto l’autore.

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Era importante che la storia avesse come protagonista una donna, e più specificamente le sue emozioni?
Era determinante, sì. Precisamente, lo sceneggiatore, quando scrisse pensando a Raúl, supponeva che lui avrebbe dato importanza al cardinale, perché era un personaggio cattivo, con molte peculiarità che lo interessavano. Ma a me sembrava molto meglio raccontare la storia di questa balia, perché credo che raccontare il destino delle donne a volte sia più importante che fare un pamphlet femminista.

Lei è una regista con una carriera molto lunga. Come è stata la sua esperienza di donna in questo ambito e quali cambiamenti ci sono stati in tutti questi anni?

Molte volte presentavo progetti e i responsabili dicevano che non avrebbero finanziato due persone della stessa famiglia. A poco a poco, continuando a combattere, hanno finito per accettarmeli. Dovevo dimostrare che volevo davvero fare cinema, che non era solo perché mio marito era un regista. In Cile, quando abbiamo cominciato eravamo solo tre registe che combattevano per fare film, ma ora ci sono molte giovani donne brave che lo fanno. Questo grazie alle scuole di cinema, perché i sindacati sono sempre stati molto maschilisti. In realtà, ci sono più donne che uomini nelle scuole, ma è ancora difficile per loro arrivare dove arrivano gli uomini. Spero che cambi presto. Inoltre, per quanto riguarda i festival, la maggior parte dei comitati di selezione sono composti da uomini. Bisognerebbe modificare queste condizioni. Speriamo che gli accordi di parità attualmente firmati funzionino. Io, personalmente, sono troppo vecchia per farmi stimolare da questo, non so quanti film mi restano da fare, ma speriamo.

La sceneggiatura era scritta per Raúl Ruiz: come descriverebbe l’esperienza di recuperare i suoi copioni e terminare i suoi film?
È il mio destino, non posso fare altro, non posso abbandonarlo. Non penso di rivaleggiare con il suo punto di vista, mi diverto molto a farlo, è un gioco.

In che misura ritiene che il patrimonio artistico di Ruiz sia presente nelle sue opere?
La mia eredità è che ho vissuto 42 anni con quel mostro, che ha fatto 120 film. Per quanto riguarda lo stile, il mio è completamente diverso. Ad esempio, Misterios de Lisboa ha un ritmo differente. Raúl dava un peso enorme al tempo. Quello che volevo fare qui era il contrario: lavorare in uno stile molto veloce, cercando la vertigine.

Le sue scelte stilistiche sono molto chiare…
Quello che ho cercato di fare è stato rendere il film come una favola. Nella fotografia, ad esempio, abbiamo lavorato con il colore ispirandoci al famoso technicolor spagnolo, ottenendo un risultato quasi irreale. L'idea era, attraverso il colore, di rendere la storia meno realistica.

In effetti, possiamo vedere che il film non va verso il naturalismo, bensì verso la stilizzazione, il che può generare un certo smarrimento nello spettatore...
Se è così, quello spettatore non avrebbe dovuto andare a vedere questo film.

Come è stato il processo creativo?
Quando trovai la sceneggiatura, stavo lavorando a un altro progetto, a un adattamento di La pista de hielo di Roberto Bolaño, ma scoprii che i diritti erano molto costosi. Paulo accettò il progetto con felicità, perché per lui, in quanto portoghese, Castelo Branco è molto importante. La produzione è stata in Portogallo, con una squadra meravigliosa. Con il direttore della fotografia, Acácio de Almeida, ho già realizzato cinque film. Isabel Branco, la scenografa, doveva ricostruire tre paesi in uno. E Paulo ha avuto l'idea di girare il film in francese, perché pensava che avrebbe reso le riprese più accessibili e il risultato sarebbe stato più universale.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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