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CANNES 2019 Concorso

Jessica Hausner • Regista di Little Joe

"Cerco di descrivere l'ambiguità del modo in cui percepiamo la realtà"

di 

- CANNES 2019: La cineasta austriaca Jessica Hausner ci parla del suo film in lingua inglese, Little Joe, presentato in concorso a Cannes

Jessica Hausner • Regista di Little Joe
(© Evelyn Rois)

Già selezionata tre volte a Cannes, a Un Certain Regard (con Lovely Rita [+leggi anche:
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nel 2014), e una volta in concorso a Venezia nel 2009 con Lourdes [+leggi anche:
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, la cineasta austriaca Jessica Hausner firma con il suo quinto lungometraggio, Little Joe [+leggi anche:
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intervista: Jessica Hausner
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,  il suo primo film in lingua inglese, presentato in concorso al 72° Festival di Cannes.

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Cineuropa: Perché ha deciso di interessarsi al tema dell’ingegneria genetica?
Jessica Hausner
: Sono partita da un'idea molto semplice. Volevo fare un film su un Frankenstein, il romanzo di Mary Shelley, ma al femminile. Nel mio film, il personaggio dello scienziato è una donna che ha creato una pianta, ma anche un altro mostro: suo figlio. E questi due mostri fanno quello che vogliono: lei non può controllarli. Ciò che mi interessava era anche esplorare un'atmosfera fiabesca. Poi, quando ho iniziato a fare delle ricerche e a raccogliere idee, mi sono imbattuta nell’ingegneria genetica, e naturalmente è un tema molto attuale, di cui si parla molto e che interessa tutti. Ho approfondito la questione e ho scoperto un mondo appassionante, soprattutto perché parlare con gli scienziati mi ha dimostrato che la scienza non ne parla e offre risposte molto contraddittorie in materia di ingegneria genetica.

L'ambiguità è anche al centro del film in generale.
In tutti i miei film, cerco di descrivere l'ambiguità del modo in cui percepiamo la realtà. Ciascuno la percepisce da un punto di vista molto più personale di quanto tutti pensiamo. Ogni società ha stabilito determinate regole in modo che tutti possano vivere insieme, ma in realtà ognuno vive nel proprio mondo. È qualcosa che mi tocca molto. Nel mio film, ad esempio, cosa significa amare il proprio figlio o un figlio che ama sua madre? Anche questi sentimenti sono ambigui, ambivalenti, da entrambe le parti.

I segreti sono il tema principale del film?
Sì. Ogni essere umano rimane un mistero. Nel film, c'è anche il fatto che la madre inizia a dubitare di suo figlio. Quello che ci piace pensare del rapporto tra una madre e suo figlio è che è un legame stabile e positivo, che non può essere messo in discussione. Qui viene messo in discussione perché questo figlio cambia improvvisamente e non è più la persona che sua madre conosceva. In quel momento appare un'enorme ambivalenza. 

Il dubbio permea l'intero film, anche per lo spettatore che potrebbe avere interpretazioni diverse.
Scrivendo la sceneggiatura con Géraldine Bajard, abbiamo lavorato in questa direzione, mettendo insieme delle scene che possono essere un po' spaventose, ma che mantengono sempre questo equilibrio sul fatto che forse non è successo nulla. È stata una sfida divertente creare un vero intrigo, pieno di suspense, senza dare al pubblico una risposta definitiva.

I suoi personaggi femminili, Alice e Bella, sono molto poco stabili psicologicamente. Perché?
Penso che quella che viene chiamata stabilità psicologica potrebbe anche essere definita stupidità. L’instabilità psicologica significa che sei sensibile e intelligente. Il mio punto di vista è anche quello di una donna sulla supposta follia femminile che è, a mio avviso, il marchio di un profondo senso della percezione e della comprensione dei lati contraddittori della vita.

Quali erano le sue principali intenzioni sul piano visivo?
Ho lavorato a lungo con la stessa squadra alla direzione di fotografia, ai costumi e alle scenografie. Film dopo film, abbiamo sviluppato uno stile speciale, abbastanza artificiale. Perché mi piace mostrare che un film è un film. Sono sempre stato molto incuriosita dal fatto che, in quanto regista, scelgo dove mettere la camera, e voglio che il pubblico ne sia pienamente consapevole. È solo un film e non è un mondo perfetto. Il mondo che sto mostrando ha punti interrogativi e buchi neri: non tutto è visibile.

Little Joe è il suo primo film in lingua inglese. Questo ha cambiato il suo modo di lavorare?
Mi sono sentita molto a mio agio. Mi piace il lato conciso della lingua inglese per i dialoghi. Le cose possono essere dette in modo asciutto, preciso e veloce, senza indurre nulla di patetico o banale. Mi è piaciuto molto scrivere i dialoghi direttamente in questa lingua ed è stata un'esperienza molto positiva. Ma ho anche scelto l'inglese perché è la lingua che funziona meglio per i film di genere e, naturalmente, per raggiungere, spero, un pubblico più ampio.

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(Tradotto dal francese)

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