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Benjamin Langeland • Regista di Once Aurora

Sono una persona troppo impaziente per dedicarmi alle storie di fantasia

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- Cineuropa ha incontrato il regista norvegese Benjamin Langeland in occasione del festival internazionale Oslo Pix, dove ha presentato il suo film Once Aurora nel Concorso documentari

Benjamin Langeland • Regista di Once Aurora
(© Stian Servoss)

Abbiamo incontrato il regista norvegese Benjamin Langeland in un caffè proprio accanto al Saga, uno dei cinema che quest’anno ospitano il festival Oslo Pix. Il suo Once Aurora [+leggi anche:
trailer
intervista: Benjamin Langeland
scheda film
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è in competizione nella sezione Documentari. Co-diretto insieme a Stian Servoss e prodotto da Thorvald Nilsen per Flimmer Film, il film ha già ottenuto diversi riconoscimenti in occasione dei premi Gullruten e al Festival di Cracovia, dove si è aggiudicato il Corno d’oro per il miglior film all’interno del concorso internazionale DocFilmMusic.

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Cineuropa: Il suo film ci permette di conoscere meglio Aurora, celebre cantante-autrice-compositrice norvegese.
Benjamin Langeland: Conosco Aurora Aksnes da molto tempo. È un’amica d’infanzia, veniamo dallo stesso paesino vicino Bergen. Ma l’idea del documentario la devo a Stian Servoss, che ama la musica e tutto l’universo di Aurora al punto da aver preso l’abitudine di farla ascoltare a sua figlia come ninna nanna per farla addormentare. All’inizio ero molto reticente, ma poi mi sono fatto convincere, perché avevo già avuto modo di lavorare con Stian. Abbiamo preso appuntamento con Geir Luedy, l’agente di Aurora, ne abbiamo parlato anche con la sua famiglia e in men che non si dica siamo stati autorizzati a seguirla praticamente ovunque. Siamo davvero grati ad Aurora per averci fatto avvicinare così tanto. Si è resa veramente disponibile, pronta a mostrarci alcuni aspetti nuovi di un mondo che conoscevamo già, ma non dall’interno. È stata generosa, ma anche molto accorta.

Come si è sviluppato il progetto?
All’inizio siamo stati spinti soprattutto dalla curiosità e dal fascino suscitato da una star. In seguito, abbiamo deciso di mettere in risalto un percorso, l’arco di una vita umana. Stian e io abbiamo lavorato fianco a fianco dall’inizio alla fine del processo creativo. Stian ha qualche anno più di me, ma sono io spesso ad essere quello un po’ più brontolone dei due, lui è sempre di buon umore. Ci siamo divertiti come ragazzini, si è creata una magnifica sinergia che si riesce ad avvertire anche nel film, secondo me. Siamo diventati veri amici. Certi giorni abbiamo addirittura posato le telecamere e ci siamo accontentati di far parte della squadra, insieme al direttore artistico Magnus Skylstad, il management e i musicisti, in un’atmosfera rilassata delle più semplici e conviviali. Accompagnare Aurora ci ha portati a viaggiare tantissimo: Stati Uniti, Brasile, il tour in Europa. Ce la siamo spassata, a dirla tutta. Purtroppo, quando vivi nell’euforia fai presto a dimenticarti che non può durare per sempre. È stato incredibilmente pesante il momento in cui abbiamo finito le riprese e ci è piombata addosso quella spiacevole sensazione di vuoto, e la prospettiva di un montaggio lunghissimo... e con delle scadenze da rispettare.

Avete girato molto materiale? Vi siete occupati voi del montaggio?
Centinaia di ore di materiale grezzo, ottanta giorni di riprese. C’è voluto il triplo del tempo che si impiega normalmente per il montaggio del classico documentario, per via del ritmo velocissimo di diverse sequenze. Ricreare l’intensità, il fervore di alcuni momenti a volte richiede una precisione chirurgica. Per qualche settimana, all’inizio, ci siamo rivolti a un montatore, ma poi abbiamo deciso di cavarcela da soli, e di lasciare che fosse il film ancora in divenire a dirci a cosa volesse assomigliare.

Le musiche?
Il sound design è del compositore Olav Øyehaug. Ma, ovviamente, essendo Aurora al centro del film, è lei che si vede e sente cantare nelle situazioni più svariate. La sua non è una storia triste e tenebrosa, come pensano in molti. È una persona calorosa ma lucida, consapevole delle proprie responsabilità. È bravissima a proteggersi e ad affrontare lo stress, le tensioni e le frustrazioni inevitabili nel mondo dello spettacolo. Vuole essere padrona della propria vita, quindi è lei la vera regista di tutto quello che succede.

Perché ha scelto il documentario come forma d’espressione?
Sono una persona troppo impaziente per dedicarmi alle storie di fantasia. È solo nell’universo dei documentari che mi sento davvero a casa. La cosa che preferisco è lavorare a del materiale autentico, su qualcosa di concreto, e non a un parto della mia immaginazione. A interessarmi sono soprattutto gli avvenimenti che si svolgono sotto ai miei occhi. È appassionante avere la possibilità di raccontare una storia che hai vissuto davvero, a volte in modo molto intenso, e di cercare di decifrare alcuni codici. Riportare i fatti, e al contempo condividere le emozioni provate durante le riprese… è uno scambio a dir poco avvincente.

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(Tradotto dal francese da Michela Roasio)

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