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VENEZIA 2019 Concorso

Haifaa al-Mansour • Regista di The Perfect Candidate

"Ci vorrà del tempo per vedere un vero cambiamento nelle strade dell'Arabia Saudita"

di 

- VENEZIA 2019: La regista saudita Haifaa al-Mansour racconta a Cineuropa il suo nuovo lavoro presentato in concorso a Venezia, The Perfect Candidate

Haifaa al-Mansour • Regista di The Perfect Candidate

Fu alla Biennale del Cinema di Venezia che Haifaa al-Mansour venne portata alla ribalta internazionale con La bicicletta verde [+leggi anche:
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, il primo film realizzato interamente in Arabia Saudita. Dal 2012 il cinema ha fatto passi in avanti, così come i diritti delle donne. Nonostante nel suo ultimo film, The Perfect Candidate [+leggi anche:
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intervista: Haifaa al-Mansour
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, in proiezione in concorso al Lido, al-Mansour affronti la discriminazione di genere e le leggi che, fino a poco tempo fa, impedivano alle donne di viaggiare senza il permesso di un custode.

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Cineuropa: Quanto è stato importante per lei realizzare un film in Arabia Saudita, che parla del Paese stesso, senza doverlo fare clandestinamente nascondendo l’attrezzatura in un furgone?
Haifaa al-Mansour: È stato molto divertente far parte di una squadra e non essere confinati in un furgone a comunicare con dei walkie-talkie. È bello non dover fare tutto per strada. Ho potuto avere un contatto più diretto con gli attori, ed è stato piacevole, in più mi ha semplificato la vita. Questa volta, oltre a non essere più in un furgone, l’accessibilità ai luoghi è stata migliore rispetto a La bicicletta verde. Abbiamo potuto filmare in piccoli villaggi remoti, dove le persone sono molto conservative e non amano gli stranieri, ma erano molto felici e ci hanno detto “grazie per averci messo sulla mappa”. Questo è incredibile, perché è così che si fa cultura. Però ancora non abbiamo un’industria cinematografica; abbiamo portato i capi reparto dalla Germania.

Come si è sentita quando le leggi sulla custodia sono cambiate e sapeva che il suo film in corso d’opera aveva come punto centrale quelle leggi?
Credo che sia fantastico perché è una società in transizione che si sta muovendo verso il futuro, specialmente quando si tratta di conferire libertà sociale alle donne. Tuttavia, ho la sensazione che le donne stesse non siano preparate a essere indipendenti, quindi non stanno abbracciando i cambiamenti tanto quanto dovrebbero. Quando vai per le strade dell’Arabia Saudita non si vedono molte donne al volante. Come se pensassero che guidare sia una seccatura.

Riyadh è più indipendente, si può andare ovunque, benché ci siano anche delle famiglie conservative. Tante ragazze comprerebbero una macchina nuova e ne sarebbero ben felici, ma poi le loro famiglie tradizionali darebbero fuoco al veicolo perché non vogliono che una donna guidi. Ci sono tante nuove libertà sociali, ma la vera domanda è come fare a diffonderle e a farle penetrare, perché non è facile. Ci vorrà tempo per vedere cambiamenti effettivi per le strade.

Il suo è il primo film ad aver ricevuto sovvenzioni da un fondo saudita. Come funziona?
Sì, ora c’è un fondo saudita che ha già finanziato molti cortometraggi e documentari. Il mio film è uno dei primi lungometraggi, e credo che adesso ne stia finanziando un altro. È come qualsiasi altro fondo pubblico tipico in Europa: si va lì, e si fa domanda. Credo che sia fondamentale.

Nel film la sorella piccola è la più spaventata dal cambiamento; perché è questo personaggio a rappresentare il conservatorismo?
Penso che lei rappresenti la sua età. Sarebbe davvero curioso se fosse felice. Non conosce gli adolescent? Non sono persone felici.

Non ha l’impressione che quando realizza film sauditi la reazione sia più accogliente?
Credo che sia la competizione. Se si fa un film americano o inglese, si deve davvero spiccare. È la verità. L’Arabia Saudita è un posto esotico, non ci sono molti film provenienti da lì, quindi è l’apoteosi. Di certo io ho una conoscenza della cultura più intima. Mi è piaciuto realizzare Mary Shelley [+leggi anche:
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quando l’ho fatto. Mi sono veramente indentificata con il personaggio, e credo che se fossi stata un regista – un uomo bianco, per essere più precisa – avrei ottenuto un contratto maggiore, uno studio per quel film, e l’accoglienza sarebbe stata molto più significativa.

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(Tradotto dall'inglese da Gilda Dina)

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