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ARRAS 2019

Uta Beria • Regista di Negative Numbers

"Questi giovani sono colpevoli e oppressi allo stesso tempo"

di 

- Il cineasta georgiano Uta Beria ci parla del suo primo lungometraggio, Negative Numbers, proiettato in competizione al 20mo Festival di Arras

Uta Beria  • Regista di Negative Numbers

Prigione, gioventù, criminalità organizzata e rugby sono al centro di Negative Numbers [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Uta Beria
scheda film
]
, il primo lungometraggio del georgiano Uta Beria. Prodotto dai suoi connazionali di Magnet Film con Alief, gli italiani di 39 Films e i francesi di Wide, il film è stato svelato in prima mondiale in competizione al 20° Festival di Arras dove abbiamo incontrato il regista che ha ottenuto anche la principale borsa di aiuto allo sviluppo al termine delle sessioni di pitching degli Arras Days con il suo progetto Love in the time of riot (leggi la news).

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Cineuropa: Perché ha deciso di puntare i riflettori sulla cultura criminale dei vori v zakone” (i ladri nella legge) in Negative Numbers, il suo primo lungometraggio?
Uta Beria: Perché è un problema nel mio paese. Questa cultura esiste non solo nelle carceri, ma anche all'esterno, e i giovani commettono misfatti a causa sua. Sembra una mafia, ma in realtà non lo è veramente. La culla di questa mentalità sono le prigioni. Questo fenomeno è nato in URSS nei gulag per controllarli, poi si è diffuso nelle strade ed è diventato una mentalità. Dobbiamo combattere questa cultura, e per mostrare come funziona, il modo migliore è mostrare il carcere. Negative Numbers è ispirato a eventi realmente accaduti con l'organizzazione di allenamenti di rugby in un centro di detenzione per giovani. Uno dei miei amici insegnava rugby lì e nella realtà c'è stato un conflitto identico a quello del film: sul campo di rugby, tutti erano uguali mentre fuori non era così, c'era il leader, i suoi seguaci e gli altri. Questo conflitto tra questi due mondi era molto stimolante per me ed è per questo che ho iniziato a scrivere la sceneggiatura.

Quanta parte hanno l'aspetto documentario e la finzione nella storia?
Ho lavorato alla sceneggiatura per quasi cinque anni. Avevo molto materiale da psicologi del centro di detenzione minorile, giocatori di rugby in prigione ed ex detenuti, senza dimenticare le idee legate alla mia vita. Ho assorbito tutto questo materiale e ho iniziato a scrivere la sceneggiatura. Tutti i personaggi del film sono direttamente ispirati a persone reali, ma li ho riuniti in una storia. Il tempo necessario per finanziare il film mi ha permesso di maturare la sceneggiatura, rielaborandola al mio ritmo.

Il fenomeno di gruppo è al centro del film, un gruppo che può rendere sia schiavi che liberi.
Trovare la libertà all'interno della prigione e battersi per questa libertà è il tema principale del film. Questi giovani sono colpevoli e oppressi allo stesso tempo. A seconda delle scene, oscilliamo tra questi due poli. A volte sono colpevoli di cose nocive, altre volte sono loro che subiscono l'oppressione degli altri: della società, delle guardie o dei loro compagni di carcere.

Come ha scelto di filmare lo spazio chiuso della prigione?
Il mio scenografo è anche molto famoso nel mondo del teatro e dei concerti. L'ho scelto per dare vita a tutto lo spazio e non solo a ciò che vediamo nell’inquadratura. Questo ha dato a noi e agli attori molta libertà. Abbiamo usato lo spazio come sarebbe nella realtà. L'intera messa in scena era basata su questa idea: dove saremmo nella realtà? Con il direttore della fotografia, volevamo girare tutto con la massima sincerità, non usare i giovani per qualcosa di speciale, ma renderli importanti agli occhi del pubblico. In questo spirito, abbiamo scelto di girare a spalla perché la camera così è amichevole ed espressiva. Non volevamo decidere in anticipo uno stile specifico di messa in scena, ma filmare con il cuore. È questo approccio che ci ha permesso di trovare il punto di vista ed è anche ciò che crea l'atmosfera del film. Penso anche che lo sport sia spesso scarsamente rappresentato al cinema e che non sia facile farlo perché spesso è troppo diretto e manca di profondità. Ho risolto questa difficoltà decidendo che il rugby è un'azione per esprimere i sentimenti dei personaggi.

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(Tradotto dal francese)

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