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BERLINALE 2020 Panorama

Faraz Shariat • Regista di No Hard Feelings

"Ci sono persone che soffrono di razzismo quotidiano che non permette loro di decidere chi sono"

di 

- BERLINALE 2020: Abbiamo parlato di No Hard Feelings con il suo regista, Faraz Shariat, per saperne di più sui temi e le origini del film

Faraz Shariat  • Regista di No Hard Feelings

Faraz Shariat ha studiato Media Art allo scopo di esplorare le sue esperienze di migrante omosessuale di seconda generazione. È cresciuto a Colonia, figlio di israeliani esiliati. Il suo film No Hard Feelings [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Faraz Shariat
scheda film
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ha debuttato nella sezione Panorama del 70° Festival del Cinema di Berlino. Cineuropa si è recata nei suoi uffici di Berlino, dove Faraz lavora come parte del collettivo Jünglinge, che si occupa di film queer, femministi e antirazzisti.

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Cineuropa: Da dove nasce l’idea originale di No Hard Feeling?
Faraz Shariat: Era il 2014 o il 2015: ho vissuto una fase in cui avevo ricevuto da poco un dispositivo di rimozione dei tag di sicurezza. Lo usavo per taccheggiare, e tanto. Quando sono stato scoperto, sono stato condannato a prestare servizio sociale in un campo profughi. Era il periodo in cui si parlava molto di rifugiati che venivano in Germania. E siccome io sono migrante di seconda generazione, ma non molto legato alla storia migratoria della mia famiglia, ho sempre osservato il succedersi di queste cose, in qualche modo, senza sentirmi tuttavia molto legato ad esse. Ero impegnato con la mia vita e la mia situazione di ragazzino queer e raver in una cultura pop. Quella è stata la prima volta in cui ho capito cosa stava succedendo, traducendo per persone che mi assomigliavano, o che potevano sembrare molto simili a me viste dal punto di vista dello sguardo di un tedesco bianco.   

Poi cosa è successo?
Poi ho iniziato ad avvicinarmi alle persone e ho dato inizio a una intensa fase di ricerca durata un anno e mezzo. Avevo tutte le mie esperienze come tedesco iraniano di seconda generazione a cui attingere, ma poi ho voluto anche raccogliere molte altre opinioni sulla vita da migrante in Germania. La premessa si basa sulla mia vita e sulla mia esperienza di lavoro al centro rifugiati. Ho usato anche i miei genitori nel film, in cui recitano la parte dei genitori del protagonista, Parvis.

La prima battuta del film, in un club, vede un ragazzo tedesco chiedere a Parvis: “Da dove vieni?”. È una domanda che si ripropone in tutto il film. Perché ha deciso di metterlo in cima in questo modo?
Era fondamentale affrontare sin da subito il fatto che questo film proviene da una posizione in cui le persone soffrono ogni giorno di razzismo sotto forma di non conformità alla norma, sotto forma di non avere il diritto di decidere loro stesse chi sono. Altre persone proiettano su di te le loro idee sulla tua provenienza. Inoltre, per quanto riguarda la creazione di un’alleanza con il nostro pubblico PoC [persone di colore] fin dall’inizio, era imperativo dire che questo film è soprattutto per i nostri compagni e la nostra comunità.

Come ha trovato il delicato equilibrio tra la realizzazione di un film sull'omosessualità nella comunità di immigrati e il sentimento di appartenenza?
Alcuni vogliono che questo film sia su un ragazzo gay, mentre altri vogliono che sia sul razzismo. Per me, parla di tutte queste molteplici sfaccettature perché queste cose accadono nello stesso momento. Si è sempre trattato di avere una prospettiva intersezionale sulla razza, sulla classe, sul genere e sull’omosessualità. Ovviamente, deriva anche dal luogo in cui Parvis lavora, in un centro per rifugiati. L'aspetto della migrazione e la dicotomia tra migrazione e razzismo sono molto importanti per questo film, e sono stati forse anche la motivazione principale che mi ha spinto a lavorare su questo film.

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(Tradotto dall'inglese da Chantal Gisi)

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