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SPAGNA

Gracia Querejeta • Regista di Invisibles

"Ora fare film è più difficile che fare televisione"

di 

- Gracia Querejeta presenta Invisibles, dove tre attrici mature chiacchierano in un parco della crisi di mezza età, un tema poco trattato al cinema

Gracia Querejeta • Regista di Invisibles

Gracia Querejeta (Madrid, 1962) tratta in Invisibles [+leggi anche:
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intervista: Gracia Querejeta
scheda film
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– un film di, con e sulle donne (anche se sono presenti anche degli uomini) – la questione delicata di arrivare a cinquant'anni in una società e un’epoca in cui l’anzianità e l'esperienza sono sottovalutate. Con Emma Suárez, Nathalie Poza e Adriana Ozores, il film arriva nelle sale spagnole il 6 marzo con Wanda Visión. La regista ne fornisce alcune chiavi di lettura.

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Cineuropa: Questo è un film con molti dialoghi. Come si pianifica una sceneggiatura come questa?
Gracia Querejeta:
Con grande cura, tempo e minuziosità, sapendo che poi dovranno esserci dei tagli al montaggio. È stato un grande lavoro: sembra facile quando lo vedi, ma Invisibles è uno dei film più difficili che abbia girato. Perché è molto strano avere tre personaggi in un parco che camminano quasi costantemente. Per questo, i percorsi dovevano essere progettati e abbiamo provato con le attrici proprio lì, in situ.

Il film si ricollega a un cinema fatto interamente di dialoghi, come i film del francese Éric Rohmer o la trilogia americana Prima del tramonto...
Ci sono film che hanno quel supporto: dialoghi e attori. Nel mio cinema c'è sempre stata la parola, per me è un'importante arma di comunicazione, come lo sguardo e i silenzi, che sono abbastanza eloquenti molte volte; anche in questo film lo sono. Invisibles è un film di dialoghi ed è per questo che ho corso l'enorme rischio di non mostrare mai cosa stava succedendo, tutto è in off. Non si vedono le cose di cui parlano i personaggi centrali: è una grande sfida, ma ce l’abbiamo fatta a renderlo fluente. A un certo punto durante le prove, Emma Suárez mi ha chiesto "Quale attore interpreta il mio capo?". Perché già vedeva le sequenze con il suo capo, che viene nominato, ma che non appare mai sullo schermo.

Ha scritto la sceneggiatura con Antonio Mercero?
Lavoriamo insieme da più di dieci anni. Per me non è un problema che lo sceneggiatore sia un uomo, ma piuttosto il contrario: mi sembrava interessante vedere fino a che punto potesse identificarsi con tutte queste problematiche e creare queste storie con me. E non è stato difficile, perché anche se sembra che il target del film siano le donne di più o meno cinquant'anni, tutti i suoi produttori sono uomini... Credo che anche gli uomini si sentano invisibili a partire da una certa età, e abbiamo problemi comuni.

È un film coraggioso e scomodo perché affronta tematiche di cui solitamente non si parla.
Certo, è scomodo, perché è difficile. Ho già girato un film su donne potenti, Siete mesas de billar francés, su due donne che vanno dritto per la loro strada contro ogni previsione; nonostante le loro drammatiche situazioni personali, sono in grado di mettere in piedi un business complicato dal nulla. Ora sono in un'altra età: mi interessa raccontare altri tipi di questioni. E non ho voglia di parlare di cinquantenni potenti, top manager di grandi aziende, ma della realtà, quella che ho vissuto sulla mia pelle e che vedo intorno a me, nelle mie amiche. Mi interessava avvicinarmi a questo, e non è comodo. Non penso che tutte le donne di quell'età si identificheranno, ma penso che alcune, ovviamente, lo faranno.

Nessuno ti avverte di alcuni conflitti trattati in Invisibles...
Per quanto mi riguarda, mi avvisò Mercedes Sampietro: quando aveva 50 anni e io ne avevo 30. Stavamo girando Cuando vuelvas a mi lado e lei mi disse “Tu ancora non lo sai, ma c'è un'età e un momento in cui diventi invisibile come donna e come altro". E io le dissi: “Dai su, non essere paranoica. Che dici? Sei bellissima e sei anche un'attrice”, ma penso che avesse ragione.

Ora che è pronta per l’uscita di Invisibles, a cosa sta lavorando attualmente?
A una serie per TVE e DeAplaneta, con partecipazione tedesca, basata sul romanzo Ana di Roberto Santiago, che ha scritto la sceneggiatura con Ángela Armero. Salvador García Ruiz ed io saremo i registi. Maribel Verdú, la protagonista. Quando possiamo, giriamo film, ma ora fare film è più difficile che fare televisione, perché questa richiede contenuti, con le tante piattaforme digitali.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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