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TRIBECA 2020

Gero von Boehm • Regista di Helmut Newton: The Bad and the Beautiful

"Helmut Newton voleva mostrare donne forti"

di 

- Abbiamo parlato con il regista di Helmut Newton: The Bad and the Beautiful, Gero von Boehm, che a sua volta ha parlato con Grace Jones, Isabella Rossellini e Charlotte Rampling

Gero von Boehm  • Regista di Helmut Newton: The Bad and the Beautiful
Gero von Boehm, fotografato dallo stesso Helmut Newton

Nel suo documentario Helmut Newton: The Bad and the Beautiful [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Gero von Boehm
scheda film
]
, presentato in anteprima mondiale al Tribeca Film Festival, svoltosi quest’anno in versione digitale, Gero von Boehm dipinge il ritratto di un uomo che ha dedicato la sua vita all’osservazione, piuttosto che all’essere osservato: il leggendario fotografo Helmut Newton, conosciuto non solo per aver provocato diverse controversie, ma anche per essersi guadagnato l’affetto altrui, come ricordano i suoi incredibili collaboratori.

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Cineuropa: Nel film Newton dice: “La maggior parte dei fotografi è terribilmente noiosa e la maggioranza dei film che riguarda queste figure non è da meno”. Come si procede dopo aver sentito un commento del genere?
Gero von Boehm:
Sapevo che lui non era assolutamente noioso e che non si considerava tale. Ci siamo incontrati a Parigi intorno al 1997, non ricordo bene quando, e tra noi è nata un’amicizia vera e propria, uno dei motivi per cui si è confidato così tanto con me durante queste interviste. Era sereno come un bambino – c’era questo suo lato un po’ giocherellone che rendeva tutto più semplice. Ciononostante, da regista, dovevo mantenere le distanze e tornare con la mente al periodo precedente alla nascita del nostro rapporto. Tuttavia, sapevo bene cosa avrei tirato fuori, questo è certo, sebbene ci siano alcune domande che gli ho effettivamente posto per la prima volta solo in quei momenti. Lo stesso vale per le donne con cui ho chiacchierato. Tutte adoravano Helmut e gli erano molto vicine, ma allo stesso tempo aveva mantenuto un po’ le distanze.

Nel film The Bad and the Beautiful del 1952 Kirk Douglas interpretava il personaggio di un uomo carismatico che fa allontanare chiunque lo ami. Lo stesso non accade qui, visto che, nonostante tutte le controversie, i collaboratori di Newton continuano a difendere la sua visione.
Non ha nulla a che fare con quel film, ma penso che gli aggettivi “bad” (cattivo) e “beautiful” (bello) riassumano la percezione che il pubblico aveva della sua fotografia. Questi due estremi dovevano essere inclusi nel titolo. La sua visione non era poi così semplice, sai? Non era tutto ridotto a nudi e sesso – desiderava mostrare delle donne forti, donne che non hanno bisogno di vestiti d’alta moda, proprio come si può osservare nel suo famoso dittico [Sie Kommen (Naked and Dressed)]. Prima erano del tutto coperte e poi nude, posizionate sempre allo stesso modo. Come disse la modella Sylvia Gobbel, anche se appaiono nude sono comunque forti. Quelle di Helmut non erano mai solo delle semplici foto. C’era sempre un messaggio nascosto, una storia. Riusciva a stuzzicare la mia fantasia e mi faceva chiedere cosa fosse accaduto prima o dopo, e chi fossero le persone che vedevo. Irving Penn, Avedon o Peter Lindbergh facevano la stessa cosa, ma non come lui. Ora, ciò che conta sono i vestiti, più che la storia, ed è per questa ragione che dovremmo continuare a osservare i suoi lavori. Non dovremmo censurarli; come sottolinea Charlotte Rampling, sarebbe inutile farlo.

Sembra quasi che stesse cercando di trovare chi avrebbe apprezzato il suo senso dell’umorismo, come ad esempio Grace Jones, che una volta disse: “Sì, era un po’ perverso, ma lo sono anch’io, quindi non c’è problema”.
Anche nella fotografia di moda abbiamo imboccato un percorso che è sempre più indirizzato verso ciò che è politicamente corretto. Tuttavia, Helmut adorava il fatto che le sue opere venissero criticate, voleva che se ne parlasse. Quindi magari avrebbe apprezzato questa nuova direzione? Uno dei motivi che mi ha spinto a girare questa pellicola è la volontà di riproporre le sue fotografie, di dare al pubblico l’opportunità di farsi un’idea al riguardo, perché oggi nessuno si azzarderebbe a fare quello che ha fatto lui allora. In ogni caso, dobbiamo chiedercelo: delle foto del genere hanno fomentato dei movimenti come il #MeToo o hanno favorito episodi di aggressività maschile? Isabella Rossellini ci ha detto che le foto che Helmut scattava alle donne sono come quelle che Leni Riefenstahl scattava agli uomini. Non dovremmo dimenticare queste parole. È per questo che ho voluto dare spazio a queste donne, solo alle donne. Mi incuriosiva sentire cosa avessero visto.

E così arriviamo al fatto che questo film non riguarda semplicemente le sue opere, ma anche la relazione con sua moglie, June. Sembra che lei l’abbia considerata molto rilevante.
Senza June non avrebbe mai fatto quello che ha fatto. Mise ordine nella sua vita e fu il suo critico più accreditato. June era una fotografa famosa, così come Alice Springs, con esposizioni a Parigi e New York. Il fatto di essere rimasta “nella penombra” del lavoro del marito e di averne guidato la “doppia vita” le diede forza. Una volta disse: “Sai, il mio ritratto di David Hockney era molto migliore di quello di Helmut”. E aveva ragione!

Come dice Anna Wintour, June era un po’ come una mamma per lui. È sempre rimasto un bambino, influenzato da quanto vissuto a Berlino e da quei primi anni e dall’immaginario nazista, che lo segnò profondamente. E poi c’è Leni Riefenstahl. Tra i due nacque una bella amicizia in tarda età e si scrissero diverse lettere. Credo sia un fatto eccezionale, per un ragazzo ebreo.

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(Tradotto dall'inglese da Emanuele Tranchetti)

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