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Polonia

Piotr Ryczko • Regista di I Am REN

"Volevo attenermi alla verità e parlare di una donna che ha sofferto"

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- Abbiamo parlato con Piotr Ryczko, il regista esordiente di I Am REN, che sta per uscire nei cinema polacchi e in VoD mentre si allentano le restrizioni per il coronavirus

Piotr Ryczko  • Regista di I Am REN

Con l'uscita ad aprile cancellata a causa della pandemia di coronavirus, dopo le proiezioni ai festival di Varsavia e Cottbus, I Am REN [+leggi anche:
trailer
intervista: Piotr Ryczko
scheda film
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sarà presentato in anteprima locale il 19 giugno, oltre che sulla piattaforma Mojeekino.pl. Il film mostra Renata (Marta Król), una moglie e madre devota, che improvvisamente subisce un crollo violento. O, piuttosto, un malfunzionamento - come informa il suo psicologo, il suo nome è davvero REN. Ed è un androide. Abbiamo parlato con il suo regista, Piotr Ryczko.

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Cineuropa: Sei cresciuto in Norvegia, e una certa modesta estetica scandinava è certamente presente nel film. O dovrebbe invece essere attribuita ai limiti del budget?
Piotr Ryczko: Ci sono stati due fattori in gioco: uno è stato il nostro micro-budget, che naturalmente ci ha limitato in un certo senso, ma abbiamo anche passato molto tempo in pre-produzione, cercando i luoghi giusti. Con il mio direttore della fotografia [Yori Fabian], il cui costante apporto creativo valeva il suo peso in oro, volevamo che ogni spazio riflettesse la psicologia della nostra eroina e il suo viaggio interiore. Ho dato molta importanza a questo aspetto, nonostante il fatto che stiamo parlando di fantascienza. Abbiamo deciso di prendere questo aspetto "scandinavo", tutta questa freddezza, ansia e a volte anche paranoia, e usarlo nel film a nostro vantaggio.

In un'intervista radiofonica, hai citato nomi come Tarkovsky o Nolan, sottolineando che, in definitiva, hanno fatto film sulle persone e sulle loro storie. Eppure, in Polonia, la fantascienza - o il cinema di genere in generale - non è in gran forma.
Sicuramente si ha ancora a che fare con molti stereotipi. Per molte persone, la fantascienza è uguale ad astronavi che volano o ad un futuro lontano che non ha nulla a che fare con la nostra realtà. Ma ci sono film creati da artisti molto importanti, come quello che hai appena citato, e film che trattano questo "spazio interiore". E improvvisamente si scopre che tutto il film, così come la sua struttura, serve a mostrare qualche esperienza intima. Per me, questa era la base: fare in modo che il mio film avesse questo secondo strato. Altrimenti, cercare di raccontare questa storia sarebbe stato inutile.

In generale non è facile fare il tuo primo film - io non faccio certo eccezione - e francamente non è molto più facile in Norvegia. In parte perché il cinema è molto polarizzato: abbiamo il cinema d’essai e il mainstream. È molto più facile prendere una di queste parti invece di cercare di creare qualcosa nel mezzo. Ho lottato per dieci anni per realizzare il mio primo lungometraggio, e solo dopo qualche tempo ho trovato un produttore che credeva in questa storia, che gli piaceva. Anche perché I Am REN è soprattutto un film psicologico: un dramma che utilizza elementi fantascientifici. Questo significa che alcuni spettatori, che arrivano qui aspettandosi un po' di fantascienza hardcore, rimarranno probabilmente delusi. Non è un film di idee, come Blade Runner, per esempio. Ma si può trovare lo stesso modo di pensare in Solaris di Tarkovsky.

Pensavo più a The Stepford Wives. Avevi intenzione di trasformare il tutto in una parabola femminista? Su questa donna perfetta, moglie e madre, che fa quello che ci si aspetta da lei finché non riesce più a riconoscersi in questo ruolo?
All'inizio non c'era questa intenzione, ma quando ho iniziato a lavorare con Marta Król, lei ha cominciato a insistere per portarlo in quella direzione - e giustamente. Improvvisamente, c'era questa opportunità di mostrare l'immagine contemporanea delle donne e tutte le aspettative associate ai loro ruoli.

Il film cita anche tua madre - è dedicato alla sua memoria, in pratica. Perché?
Per rispondere a questo, dovremmo tornare di nuovo a questa fantascienza dello spazio interiore. Sono sempre stato convinto che fare questo film non avrebbe avuto senso solo in base al genere o alla trama. Non è sufficiente. Avevo bisogno di qualcosa che venisse direttamente da me, qualcosa di personale. E per me, crescere in una famiglia segnata da una malattia si è rivelata l'esperienza più formativa della mia vita.

Prima di fare uno sforzo per conoscere una persona malata, diamo per scontato che sia pericolosa. Ho voluto dare agli spettatori la possibilità di conoscere Renata, senza giudicarla attraverso la prospettiva di una persona malata di mente. Ecco perché entriamo nel suo mondo, e nella narrazione, senza alcuna conoscenza preliminare della sua malattia, per avere la possibilità di empatizzare con lei prima di immergerci nel suo modo di pensare paranoico. Volevo rimanere vicino a ciò che ho vissuto, quindi la decisione di avere una protagonista femminile mi è sembrata naturale. Volevo attenermi alla verità e parlare di una donna che ha sofferto.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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