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NIFFF 2020

Joachim Hedén • Regista di Breaking Surface

"Non ho mai considerato Breaking Surface come un film di immersioni, sui subacquei o per i subacquei"

di 

- Abbiamo parlato con lo svedese Joachim Hedén, regista di Breaking Surface, dopo la sua prima internazionale a Neuchâtel

Joachim Hedén  • Regista di Breaking Surface

Lo svedese Joachim Hedén si getta nelle acque gelide in Breaking Surface [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Joachim Hedén
scheda film
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, presentato a Neuchâtel, film nel quale due sorelle si trovano intrappolate in una zona remota della costa norvegese durante un’immersione invernale. Sarà compito di Ida (Moa Gammel) garantire la loro sopravvivenza. Ma il tempo scarseggia, così come l'ossigeno.

Cineuropa: Breaking Surface segna il suo debutto in questo genere. È riuscito a rendersene conto, anche se il festival si è svolto online?
Joachim Hedén:
Ovviamente avrei preferito essere lì e avere un pubblico in sala. Ma questa è la nuova normalità adesso. Tra l'annullamento del festival e il suo svolgimento online, la seconda è l'opzione migliore, e al NIFFF hanno davvero fatto un lavoro eccezionale. Sono rimasto molto colpito dalla loro programmazione quotidiana.

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Prima di immergerci nelle sfide di una ripresa subacquea, ci parli degli elementi più intimi del film. Alla fine ha girato un dramma familiare!
C'è questo incidente avvenuto durante l’infanzia che ha creato una sorta di spaccatura tra le sorelle. Penso che sia qualcosa di facilmente comprensibile per molte persone. Molto spesso, c'è un momento decisivo che definisce le nostre relazioni, sia con la famiglia che con gli amici. Ma in un film come questo la sfida sta nel fatto che non c'è molto tempo per sedersi accanto al fuoco e parlare dei "vecchi tempi". Una volta che l'azione inizia, deve proseguire fino a quando l'intera storia non è risolta.

Qualche anno fa c'era la tendenza ad avere protagoniste femminili “esuberanti”. Ma una volta che la tragedia colpisce, Ida è quasi del tutto senza speranza.
Per me, è un viaggio dall'essere una persona passiva a una persona proattiva. Una volta che la conosciamo, ci rendiamo conto che si tratta di una persona che ha sempre contato sugli altri, una semplice spettatrice della sua stessa vita che si limita a osservare ciò che le accade intorno. Ora, la mettiamo in una situazione in cui non c'è assolutamente scampo: deve risolvere questo problema. Il suo primo istinto è cercare aiuto, prima dalla sorella e poi dall'esterno, ma questo è l'unico caso in cui non può farlo.

Non l'ho mai considerato un film sulle immersioni, sui subacquei o per i subacquei. A essere sincero, e non è un segreto, all'inizio ho pensato a due alpinisti che si mettono nei guai. Ma se accadesse una cosa del genere, se perdessi l'attrezzatura a metà strada nella scalata su per una montagna, probabilmente resteresti lì fermo per qualche settimana a mangiare la neve. Non c'è quel senso immediato di urgenza. Poi, di punto in bianco, la mia produttrice Julia [Gebauer] ha detto: "Ugh, vorrei che qualcuno potesse fare un emozionante film subacqueo con i subacquei!". All'improvviso, tutti i pezzi si sono incastrati alla perfezione.

Una volta deciso di apportare questa modifica, come ha affrontato i problemi tecnici di base? Come si costruisce una scena sott'acqua e come si lavora con gli attori, nascosti dietro quelle maschere nei momenti più emozionanti?
Immagino di essere una persona ottimista quando si tratta di dover risolvere problemi [ride]. Nel cinema, se hai una visione chiara, c'è un modo per venire a capo di un problema. Ho pensato a questo film come qualcosa di oscuro. L'oscurità è uno degli elementi che lo rendono spaventoso, in totale contrasto con il paesaggio innevato in superficie. C'erano due fattori chiave che hanno reso possibili queste sequenze. Il primo è stato il nostro direttore della fotografia subacquea [Eric Börjeson]. Lo abbiamo coinvolto sin dall’inizio, circa un anno e mezzo prima dell’inizio della produzione. Il secondo è stato il Lites Water Stage & Film Studios in Belgio. In realtà, non esisteva ancora quando decidemmo di provare a realizzare questo film. Ero con il proprietario che mi ha portato sul posto, dove non c'era altro che un pezzo di terra. Lo indicò e disse: “Costruiremo il miglior studio subacqueo d'Europa! E sarà finito in tempo per il tuo film". Ed è stato così. Anche se quando abbiamo iniziato la produzione, stavano ancora dipingendo le pareti!

È come nel film L’uomo dei sogni: "Se lo costruisci, lui tornerà". Nonostante tutta questa oscurità, la principale mascotte del film è un cane. Stava cercando di aggiungere un po' di leggerezza?
O piuttosto: "Tornerà, quindi devi costruirlo!". Il cane è una presenza costante. Sentivo che aveva bisogno di un compagno, ma non volevo che fosse un'altra persona, volevo che fosse davvero sola, esposta e abbandonata a se stessa. A un certo punto penso di aver accarezzato l'idea di inserire un uccello che l'avrebbe seguita in giro, ma un cane riesce a rispecchiare meglio le emozioni umane.

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(Tradotto dall'inglese da Enrico Rossetti)

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