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VENEZIA 2020 Fuori concorso

Salvatore Mereu • Regista di Assandira

"Quando scegli un libro da adattare, lo fai quasi a livello inconscio"

di 

- VENEZIA 2020: Abbiamo parlato con Salvatore Mereu, il regista di Assandira, tratto dal romanzo di Giulio Angioni

Salvatore Mereu • Regista di Assandira
(© La Biennale di Venezia/Foto ASAC/Giorgio Zucchiatti)

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di Salvatore Mereu, presentato nella sezione Fuori Concorso della Mostra del cinema di Venezia, apre con un uomo che sembrerebbe aver perso tutto in un incendio. Ma Costantino (Gavino Ledda) pensa al passato, spiegando alle autorità, ed a se stesso, cosa è successo dopo che suo figlio Mario (Marco Zucca) e la sua compagna Tedesca decisero di ritornare in Sardegna. Abbiamo approfondito con Mereu.

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Cineuropa: Il tuo film è stato liberamente tratto da un romanzo, ma cos'è che ti ha spinto a mostrare che il passato può essere “ricreato”? Anche per scopi economici, e per l’industria del turismo?
Salvatore Mereu: Parlare della trasformazione della Sardegna è sempre stata una delle cose che mi ha interessato di più. Questo conflitto tra passato e presente può essere trovato nei miei lavori precedenti, e adesso è anche la ragione che si cela dietro allo scontro tra un padre e un figlio. Ma è stata solo una delle ragioni per cui ho scelto questa storia. Quando scegli un libro da adattare, lo fai quasi inconsciamente. Mi ritrovai con il punto di vista del narratore, nel modo in cui riesce a vedere come certe tradizioni o persone vengono private della loro dignità in nome del profitto. Ma più tardi, capii cosa mi piacque ancor di più: la storia di questa famiglia, il conflitto tra due generazioni e due mondi che non sono in grado di comunicare l’uno con l’altro. La realtà di Costantino è basata su valori che suo figlio ha perduto. Credo di aver approfondito questo aspetto, così come questo triangolo amoroso, ancora di più in questo film. Quando i due arrivano, Costantino potrebbe benissimo essere morto - non si aspetta niente dalla vita. Grete risveglia l’uomo che era prima, aprendo uno spiraglio in quella vita che lui ormai considerava conclusa. Per questo non la trovo un personaggio negativo.

Questa tensione sessuale tra di loro è ovvia, ma Costantino ha sicuramente grandi difficoltà ad affrontarla.
Ama suo figlio incondizionatamente, ma gli viene chiesto di rinunciare ai suoi valori, che sono molto rigidi - è quasi come se appartenesse ad un ordine monastico. Per lui, rispettare la natura è una cosa sacrosanta, come lo è il lavoro di un pastore. Non può essere banalmente trasformato in fonte di intrattenimento per qualcuno, nemmeno se serve per fare dei soldi.  Infatti quando si arrende [all’idea di aprire un agriturismo], lo fa probabilmente per via di questo sentimento nascosto per sua nora.

Hai detto che non la volevi far apparire come un personaggio negativo, ma mi ha ricordato le femmes fatales dei film noir, come la costante voce fuori campo e l’investigazione in corso.
A pensarci bene, l’inizio è simile a quello di Sunset Boulevard: c’è un cadavere, e cerchiamo di capire cosa è successo. Nella struttura narrativa del film c’è una chiara referenza ai classici noirs americani, e Grete può essere vista come questa “donna tenebrosa”. Ma arriveremo a comprendere che anche lei è solo una vittima di suo marito, e che la loro relazione è insolita, forse un po’ “malata”. Ma non sto esprimendo nessun giudizio morale. C’è una scena dove diventa chiaro che lei non è al comando tutto il tempo.

E’ una storia che, per via del linguaggio [dialetto Sardo] e del posto, e dell’uso di attori non professionisti, può sembrare meno accettabile. Ma questa trama correlata al crimine cattura gli spettatori e gli affascina ancora di più - anche coloro che di solito vanno al cinema solo per vedere qualche attore famoso.

Costantino dice, “E’ meglio essere sfruttato dal proprio figlio.” Come hai voluto approcciare questa strana decisione di avere lui come padre del loro figlio?
Era già nel romanzo, l’unica modifica è stata che questo avveniva in Danimarca, non in Germania come nel film. Ero preoccupato di star camminando su un campo minato, anche perché non sono mai venuto a conoscenza di nessuna storia simile. E nel cinema, c’è questa consapevolezza che quando racconti qualcosa, ne dovresti essere a conoscenza tu stesso, altrimenti rischi di risultare non autentico. E’ come se, durante il tutto, questa passione nascosta viene alla luce. Possiamo vederlo quando gli viene chiesto di donare il seme all’ospedale, e chiede: “E Grete?” Come se sperasse che, lontano dagli occhi di suo figlio, ci fosse una possibilità di incontrarla.

Quando mostri come Mario e Grete “adattano” ciò che gli circonda per i turisti, alcuni dettagli sono assurdi - come quello di vestire un cavallo per il rituale di accoppiamento.
Nel libro, non c’è una referenza diretta, ma nel film, il cavallo è diventato un personaggio vero e proprio. Assistiamo alla sua storia, e in qualche modo, è anche la storia di questo bambino. Delle volte c’è soltanto una piccola indicazione, una battuta, e bisogna usare l’immaginazione. E’ un processo interessante, ed è lì che capisci il vero motivo per cui hai scelto quel libro. All’inizio, senti solo un’attrazione, e ti concentri su elementi esterni. Dopo, come in una sessione dallo psicoanalista, ho trovato anche altre ragioni. La relazione con un libro, o con un film, si rileva da sola giorno dopo giorno.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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