email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Lussemburgo

Fabrizio Maltese • Regista di I fiori persi e Visage(s) d’Afrique

"I fiori persi nasce da una tragedia personale, nel contesto di una tragedia collettiva, quella del Covid"

di 

- Incontro con il fotografo e regista, che sta completando la post-produzione dei suoi due progetti realizzati tra Lussemburgo, Mauritania e Italia

Fabrizio Maltese • Regista di I fiori persi e Visage(s) d’Afrique
(© Kris Dewitte)

Dopo le distese desertiche californiane di California Dreaming [+leggi anche:
recensione
trailer
scheda film
]
(2019), o quelle del Marocco (50 Days in the Desert [+leggi anche:
recensione
trailer
scheda film
]
, 2016), il cineasta Fabrizio Maltese riafferma la sua attrazione per le nozioni di vuoto, assenza, isolamento e ricerca di identità. I suoi due nuovi documentari, I fiori persi [+leggi anche:
intervista: Fabrizio Maltese
scheda film
]
e Visage(s) d’Afrique, in fase di ultimazione, sono arrivati ​​inaspettatamente sul suo tavolo. Rappresentano la continuazione di quello che l'autore chiama il suo "viaggio dell'anima", iniziato più di vent'anni fa, quando Maltese lasciò il suo paese d'origine, l'Italia...

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Cineuropa: È passato un anno da quando ha ricominciato le riprese del documentario Visage (s) d'Afrique (titolo provvisorio) che il regista lussemburghese Pol Cruchten avrebbe dovuto realizzare prima della sua morte improvvisa nel 2019. Cosa le ha fatto desiderare di continuare l'avventura?
Fabrizio Maltese: Pol Cruchten mi aveva proposto di curare la fotografia di Visage (s) d'Afrique dopo aver visto il mio California Dreaming. Diceva di essere rimasto colpito dal mio modo di trattare i soggetti, tra spontaneità e rispetto, oltre che dal mio modo di fotografare il deserto. Ero rimasto molto sorpreso e lusingato. Questo progetto era diverso dagli altri suoi documentari. Dopo lo shock della sua scomparsa, alcuni hanno detto che io ero la scelta naturale per portare avanti e onorare, con la mia visione, la memoria di Pol. Ho esitato... Era il mostro sacro del cinema lussemburghese! Ma dopo averci riflettuto un po’, ho accettato: Pol ed io avevamo parlato tanto del progetto durante la preparazione, e non volevo che il suo entusiasmo andasse perduto. Per affrontare questa sfida, ho voluto al mio fianco un co-sceneggiatore del calibro di Stephan Roelants, che mi aiutasse a realizzare il film giusto. Con il montatore, Qutaiba Barhamji, abbiamo immediatamente formato un bellissimo team di scrittura molto affiatato. Sono grato ai produttori Jeanne Geiben e Vincent Quénault per avermi supportato come nuovo regista di questo progetto.

Ci parli del rapporto personale che da allora ha instaurato con la Mauritania.
Questo film è un viaggio alla ricerca di qualcuno che non c'è più e di qualcun altro che, attraverso la sua assenza, vuole farci scoprire, incontrare e raccontare la sua terra, la Mauritania. Il viaggio in un paese sconosciuto diventa metafora, il deserto diventa il luogo simbolo del vuoto e dell'assenza, e pone il viaggiatore/regista di fronte alla propria solitudine e alle ragioni che gli hanno fatto accettare questa ricerca. Il viaggio non ha uno scopo, diventa esso stesso uno scopo.

Qual è il coinvolgimento di Abderrahmane Sissako?
Questo film nasce dall'incontro tra Pol e Abderrahmane e dal loro desiderio di realizzare insieme un progetto. Una volta subentrato, ho incontrato Abderrahmane a Parigi e poi a Nouakchott, per discutere di come volevo procedere. Ha seguito le diverse fasi delle riprese direttamente o tramite i membri della squadra mauritana che ci aveva messo a disposizione. Senza la sua benevolenza, le riprese sarebbero state più difficili.

Come ha vissuto i rallentamenti dovuti alla crisi sanitaria?
Ci siamo subito resi conto che, per questo film, bisognava sedersi al tavolo del montaggio, condividere emozioni e scambiare idee. Dopo aver consultato la produzione e preso tutte le precauzioni, abbiamo deciso di lavorare insieme nella mia sala di montaggio.

Il Film Fund Luxembourg ha appena confermato un investimento di 129.979 euro per il suo quinto documentario, I fiori persi. Cosa può dirci a riguardo?
La genesi di questo progetto è particolare, nasce dal materiale che era stato filmato per creare un ricordo intimo e privato di un momento molto difficile della mia vita. Non avevo intenzione di farne un film. Il cuore della storia si basa sul materiale che ho girato in Italia, durante il primo lockdown, al ritorno di mio padre dopo due mesi di ospedale, nella casa di famiglia che era diventata improvvisamente troppo grande ed estranea. Aggiungeremo un prologo e, forse, un epilogo per contestualizzare meglio la storia e renderla comprensibile e universale. Il film è prodotto dalla mia compagnia, Joli Rideau Media, in associazione con Melusine Productions.

Questo è anche il suo primo progetto girato interamente in italiano, che segna il suo ritorno nel Lazio... Viterbo è la sua città natale. Dobbiamo quindi aspettarci una storia autobiografica?
I fiori persi nasce da una tragedia personale, nel contesto di una tragedia collettiva, quella del Covid. All'inizio di marzo mio padre ha dovuto subire un'operazione. Partito subito per l'Italia, mi ritrovo in pieno lockdown, in un paese in preda alla paura, che non riconosco più, per cercare di consolare i miei genitori… Si potrebbe dire che questo film è la continuazione del viaggio dell’anima cominciato molto tempo fa, quando lasciai l'Italia più di 23 anni fa, di cui Visage (s) d'Afrique è una tappa, e che segna un ritorno al luogo della mia nascita. È un'ode all'amore come salvezza nella difficoltà e il ritratto di un uomo che è diventato, suo malgrado, un sopravvissuto.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy