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BERLINALE 2021 Forum

Avi Mograbi • Regista di The First 54 Years: An Abbreviated Manual for Military Occupation

"Abbiamo le elezioni tra due settimane e nessuno parla dell'occupazione"

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- BERLINALE 2021: Abbiamo parlato con il prolifico regista israeliano del suo ultimo film, in cui alcuni testimoni israeliani descrivono i meccanismi di oppressione dei palestinesi dal 1967 ad oggi

Avi Mograbi  • Regista di The First 54 Years: An Abbreviated Manual for Military Occupation
(© Jose Kattán)

In The First 54 Years: An Abbreviated Manual for Military Occupation [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Avi Mograbi
scheda film
]
, che è stato proiettato in anteprima mondiale nella sezione Forum della Berlinale, il regista israeliano Avi Mograbi contestualizza le testimonianze di ex soldati che si trovavano nei territori occupati all’interno di un interessante e profondo documentario.

Cineuropa: Perché ha deciso di sezionare e analizzare l’occupazione dei territori palestinesi, e di inserirla in questo contesto più ampio?
Avi Mograbi:
L’idea è nata dalle testimonianze stesse. Avevo di fronte a me l’intero archivio raccolto da Breaking the Silence, un’organizzazione di veterani israeliani la cui missione è quella di rendere nuovamente visibile l’occupazione sia agli israeliani che a tutti. Tutti i governi israeliani finora sono riusciti a rendere l’occupazione praticamente invisibile. Per noi israeliani, è molto evidente: tra due settimane si terranno le elezioni e nessuno parla dell’occupazione.

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Così ho cominciato a cercare un modo per realizzare una storia ad ampio raggio partendo dall’archivio, e ho cominciato a collegare testimonianze attraverso tre periodi: 1967-1987, 1987-2000 e 2000-oggi. Per quanto riguarda l’aspetto cronologico, ho anche cercato di collegare le testimonianze individuali e singole che trattavano questioni simili con meccanismi o procedure. Ma ho capito che, senza una certa spiegazione, uno spettatore non esperto del conflitto israelo-palestinese e dell’occupazione israeliana di territori in Cisgiordania e nella striscia di Gaza potrebbe perdersi. Davvero, il solo guardare le testimonianze una dopo l’altra è per gente fanatica dell’occupazione intesa come tematica e per persone molto esperte, e sarebbero in grado di loro stesse di farne un sunto.

Così è nato The Manual, perché ho capito che queste testimonianze che erano legate l’una con l’altra, stavano segnalando alcuni metodi, alcuni meccanismi e approcci che avevano determinati obiettivi. Tutto ciò non veniva fatto soltanto per torturare i palestinesi nei territori occupati, nessuno pensa che questo sia lo scopo principale dell’occupazione. Volevo rendere le testimonianze più accessibili a un pubblico generale, così è nata l’idea di creare un manuale che organizzasse tutte queste testimonianze sotto una certa logica.

Perché ha deciso di rivestire proprio lei il ruolo del narratore?
Dopo aver ideato il concetto del manuale, ho pensato che fosse necessario un narratore, una guida. Di solito, quando guardate dei programmi di cucina su YouTube, c’è una persona che cucina il piatto di fronte a voi. E di solito questa persona è un cuoco. Dopo aver fatto alcune ricerche e dopo aver capito che nessuno dei cuochi dell’occupazione, ovvero nessuno degli artefici dell’occupazione e dei suoi obiettivi e metodi, era disposto probabilmente a collaborare a questo progetto, ho deciso che sarei divenuto io la guida. Dopodiché c’è voluto molto lavoro per scrivere il testo, per girarlo più e più volte e per scriverlo e montarlo di nuovo.

Come si aspetta che il suo film venga accolto in Israele, e quali sono le sue speranze per il futuro?
È dalla fine degli anni ’80 che realizzo film, e la maggior parte di essi è stata piuttosto critica nei confronti della società o della politica israeliana, e molti trattano del conflitto israelo-palestinese. I miei film purtroppo non sono stati visti da molti israeliani, sono probabilmente più conosciuto in Europa che nel mio paese natale. Molti miei film sono stati trasmessi in televisione, ma su piccolissimi canali via cavo dedicati ai documentari che non hanno un alto indice di ascolto. Nessuno è stato proiettato al cinema, e penso che neanche questo lo sarà, indipendentemente dalla pandemia. Fortunatamente uno dei festival di Israele lo selezionerà, ma considerando che non ha un’emittente televisiva in Israele, credo che dovremo fare una campagna sui social media per renderlo accessibile a chiunque voglia vederlo.

La mia speranza è che, un giorno, tra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano, tutte le persone abbiano il diritto di votare e di decidere il sistema del regime in cui vivono. Al momento, nove milioni di israeliani hanno il diritto di votare per un governo che determina la vita di cinque milioni di palestinesi che non hanno questo diritto. Spero che questo accada sotto qualsiasi tipo di accordo, e spero di potervi assistere.

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(Tradotto dall'inglese da Ilaria Croce)

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