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VENEZIA 2021 Fuori concorso

Leonardo Di Costanzo • Regista di Ariaferma

“Come nel documentario, ad un certo punto la ricerca è iniziata a diventare drammaturgia”

di 

- VENEZIA 2021: Il regista campano ci parla del suo ultimo film, caratterizzato ad un’atmosfera sospesa e dai toni teatrali, con protagonisti Toni Servillo e Silvio Orlando

Leonardo Di Costanzo  • Regista di Ariaferma
(© La Biennale di Venezia - Foto ASAC/A. Avezzù)

Cineuropa ha intervistato Leonardo Di Costanzo, regista di Ariaferma [+leggi anche:
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intervista: Leonardo Di Costanzo
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]
, presentato quest’anno fuori concorso alla Mostra di Venezia. La storia si svolge in un vecchio carcere ottocentesco, situato in una zona impervia e imprecisata. Il centro di detenzione è destinato a chiudere ma alcuni problemi burocratici costringono una dozzina di detenuti ed un manipolo di agenti a rimanere nella struttura in attesa di nuove istruzioni. Caratterizzato ad un’atmosfera sospesa e dai toni teatrali, Ariaferma mette in discussione le differenze tra prigionieri e guardie con una scrittura brillante ed un cast di altissimo livello.

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Cineuropa: Potrebbe parlarci della fase di ricerca che ha portato alla scrittura di Ariaferma?
Leonardo Di Costanzo: È stata una lunga gestazione. [..] Ho raccolto una grande dose di riflessioni sul senso del carcere. Quelli che ho incontrato mi hanno detto che il carcere non serve, anzi è deleterio. È raro trovare qualcuno che l’ha difeso. Questa parte di lavoro è stata molto interessante. Pensavo che i direttori fossero davvero quelli che vediamo nei film. Io vengo dal documentario e ho quindi usato lo stesso metodo di lavoro e di ricerca. Come nel documentario, ad un certo punto la ricerca è iniziata a diventare drammaturgia. Incontravo storie e facevo dei post-it. Trovare la drammaturgia, un filo conduttore all’interno di queste storie, è stato quasi un lavoro di montaggio.

Come avete trovato la location del film?
Avevamo l’esigenza di trovare un carcere di quella forma. Volevo una struttura un po’ vecchiotta per giustificare il fatto che dovesse essere chiusa di lì a poco. Per molto tempo abbiamo pensato di girare a Le Nuove, l’ex carcere di Torino. Poi ci sono stati diversi problemi e siamo arrivati a Sassari. Tutta la parte centrale, il “panopticon”, normalmente non costituisce il reparto detentivo. Nella rotonda ci sono gli uffici, gli avvocati, il corpo delle guardie e noi tutta quella zona – incluse le celle – l’abbiamo ricostruita e scenografata. Ho sempre pensato che l’idea della Fortezza Bastiani fosse un riferimento. Dovevamo costruire un mondo separato, all’interno del quale potessero emergere questi rapporti inconsueti.

Come ha scelto Toni Servillo [l’agente di polizia penitenziaria di grado più alto] e Silvio Orlando [Don Carmine, un capomafia] per i due ruoli principali? Come ha costruito il loro rapporto sul set?
Ho pensato a loro perché siamo tutti e tre napoletani e della stessa generazione. Avevo bisogno di attori con grande esperienza teatrale, perché il tipo di drammaturgia necessitava di una ricerca simile a quella che avviene a teatro. Dovevamo trovare il “diapason” della recitazione giusto. Ho pensato: questi due attori non hanno mai lavorato insieme e non si sono mai incontrati sul set… Si sa, in questo ambiente c'è sempre almeno un briciolo di competizione. Ognuno ha avuto un percorso di diverso. Questo riflette un po’ la storia dei due personaggi: vengono dallo stesso posto ma hanno scelto due strade diverse. Forse nel momento delle riprese, ho pensato, questo elemento extra-filmico giocherà il suo ruolo. In realtà loro si sono amati fin da subito. Dopo due giorni erano amicissimi. Il grande problema era lavorare con queste due icone del cinema, visto che io ho sempre fatto film con non professionisti. Per me gli attori sono pagine bianche, da riempire per gli spettatori. Attori di questo calibro portano sempre con sé la loro storia cinematografica. La prima preoccupazione per chi ha la fortuna di dirigerli è distruggere quello che c’era prima e imporre la propria visione. Ho pensato: come faccio? Mi mangeranno! Inizialmente, avevo pensato di assegnare i ruoli opposti. Ma vedevo già come Orlando avrebbe potuto incarnare il poliziotto, era un’immagine troppo in continuità col suo percorso. Lo stesso valeva per Toni nel ruolo del capomafia. Ho detto: “Scambiamo i ruoli. Io faccio un film con degli attori, cosa che non ho mai fatto. Adesso voi fate un personaggio fuori dai vostri schemi”. Hanno accettato la sfida con molta umiltà e grande entusiasmo.

Una domanda sulla scena della cena al buio. Da spettatore, ho avuto l’impressione che il buio fosse un mezzo per annullare le identità e poi ricostruirle, mettere tutti sullo stesso piano per un momento...
È proprio così. Quello è il momento più alto del processo. Lentamente, all’interno dei due gruppi si arriva ad un distanziamento di ruoli. Decidere di aprire la cucina di fatto già incomincia ad annullare questa separazione.

Quale contributo artistico ha apportato Pasquale Scialò per la partitura musicale del film?
Inizialmente, volevo interventi di musica concreta e jazz. Quello che ha portato Scialò – ed è stata un'intuizione giusta – è introdurre la citazione cristologica. I canti iniziali, per esempio, celebrano la processione della Passione del Venerdì santo.

Porterete Ariaferma nelle scuole e nelle carceri?
Sì, il 9 settembre portiamo il film al carcere di Venezia. Sta piacendo molto. Il 5 settembre hanno partecipato alla proiezione molti dirigenti di carcere, penalisti, educatori e, in qualche modo, non so, si sono sentiti “raccontati”.

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