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TORONTO 2021 Special Presentations

Bent Hamer • Regista di The Middle Man

“Deve sempre essere l'aspetto umano della storia ad attirarmi”

di 

- Il regista norvegese parla del suo nuovo film e di come esplora le dinamiche umane all'interno delle comunità quando le cattive notizie devono essere condivise

Bent Hamer • Regista di The Middle Man

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che lavora nella città dimenticata da Dio di Karmack, negli Stati Uniti, una comunità in una depressione così profonda da dover assumere qualcuno per comunicare le cattive notizie ai suoi cittadini sofferenti. Il regista norvegese Bent Hamer non ha potuto partecipare di persona alla prima mondiale del suo nuovo film a Toronto e ha quindi parlato con Cineuropa tramite zoom.

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Cineuropa: Com'è stato non poter partecipare alla prima mondiale?
Bent Hamer:
È una bella domanda, perché in realtà non ho esperienza in questo campo. È stata la mia prima volta. Sono molto contento che almeno l'attore principale, alcuni degli altri attori e la troupe canadese abbiano partecipato. Ma è stata una sensazione strana. Cercavo di confortarmi nella mia serra mentre sapevo cosa stava succedendo a Toronto. La situazione è stata triste. Non ho avuto la possibilità di provare l'emozione di stare insieme alle persone.

Si scopre che il Middle Man può essere tante cose, una copia di un telefono cellulare, un messaggero o forse qualcos'altro. Come lo vedi?
Beh, sì, di cosa si tratta? Quando ho letto il romanzo per la prima volta, sono stato attratto da questa visione del mondo, in cui le persone sono in difficoltà, che è vera oggi dappertutto, ma in questo caso è una prospettiva vista da una piccola città degli Stati Uniti nella rust belt, una specie di pre-Trump, visto che è stato scritto nel 2012. In un certo senso è così attuale. Naturalmente, questo contesto mi ha interessato. Ma poi c'è tutto l'umorismo, l'aspetto umano della storia, che deve sempre essere presente in qualche modo per attrarmi. Ma in realtà non so ancora chi sia questo tizio. È una sorta di mistero la permanenza in questa città, ma forse è più difficile lasciarla. Potrebbe essere chiunque stia cercando di trovare un lavoro, di andarsene dalla casa in cui vive con la madre. È una storia simile a quella della Spagna e dell'Italia, con un tasso di disoccupazione così alto. È anche una questione di chi siamo e di come affrontiamo questi problemi.

Guardando il film, si pensa al servizio militare americano, al concetto di "non sparare al messaggero". Nella storia dell'umanità c'è l'idea che le cattive notizie debbano essere comunicate di persona. Pensi sia ancora così o non è tanto vero in questa era digitale? Conosco una signora che è sacerdote in una chiesa di Oslo e che è cresciuta con mia moglie. Ha letto la sceneggiatura abbastanza presto e le ho fatto queste domande, ed è stata una grande discussione perché non se ne parla sui giornali o pubblicamente. A chi spetta trasmettere questo brutto messaggio: al prete? O la polizia? O lo psicologo? O gli amici? O i parenti? Non ci sono regole. Parlando ancora un po' con lei, la domanda è diventata "chi viene pagato per questo?". Questa è la parte formale, che viene anche discussa, ma non è qualcosa che si fa pubblicamente. Si tratta più che altro del dolore. La gente lo fa ancora. Non sai mai chi busserà alla tua porta.

Il film ha anche la sensazione di un sogno, con la sua qualità astratta e stravagante.
Un tempo anche gli interpreti dei sogni venivano uccisi se non azzeccavano il sogno giusto. Ho iniziato dicendo che la storia è attuale e si svolge oggi, ma d'altra parte spero sempre che i miei film abbiano una certa qualità senza tempo. Nel film c'è un telefono cellulare e, per certi versi, non mi piace.

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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