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GINEVRA 2021

Bálint Szentgyörgyi • Creatore e regista di The Informant

"Siamo tutti cresciuti con famiglie che parlavano di un mondo che non esisteva più"

di 

- Il giovane regista ungherese ci ha parlato con entusiasmo della sua serie in otto episodi presentata in anteprima internazionale al Geneva International Film Festival

Bálint Szentgyörgyi • Creatore e regista di The Informant
(© Mathieu Geser)

The Informant [+leggi anche:
intervista: Bálint Szentgyörgyi
scheda series
]
, prodotto da HBO Europe e Proton Cinema, ci immerge nell'Ungheria degli anni '80, tra speranza e tragedia, grazie a una ricostruzione molto accurata. La storia viene raccontata attraverso la vita quotidiana di Geri (Gergely Váradi), un giovane studente costretto a diventare informatore per i servizi di sicurezza statali, che per la prima volta assapora le gioie delle feste studentesche e il cameratismo che nasce dai discorsi rivoluzionari che aleggiano nel suo dormitorio. Precisa e allo stesso tempo fresca, la serie presentata in anteprima internazionale al Festival internazionale del cinema di Ginevra (GIFF) ci seduce fin dal suo primo episodio. Abbiamo parlato con il suo ideatore e regista, Bálint Szentgyörgyi.

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Cineuropa: Come è nata l'idea della serie? Il progetto è stato pensato in questa forma fin dall'inizio?
Bálint Szentgyörgyi:
Sì. Ho sempre saputo di voler realizzare una serie sulla storia dell'Europa centrale, da cui provengo. Volevo che queste storie fossero accessibili agli spettatori dell'Europa orientale e occidentale, che suonassero vere e non fossero banali. Questo è qualcosa di raro, che non è mai stato fatto in Ungheria. Il formato seriale si adattava bene a questa esigenza, ma c'era anche una ragione pratica. Quando ho iniziato il progetto avevo 24 anni e non avevo alcuna esperienza, ero autodidatta e non avevo frequentato una scuola di cinema. In Ungheria ho cercato più volte di ottenere finanziamenti pubblici per realizzare il mio primo cortometraggio ma, ovviamente, senza successo. Così ho deciso di andare avanti senza finanziamenti pubblici e con l'aiuto dei miei migliori amici, anch'essi autodidatti. Uno è il direttore della fotografia e l'altro è l'attore che interpreta il giovane studente che condivide la stanza con il protagonista. Ho sempre saputo che era un grande attore, una star. Ho detto loro: faremo un film senza fondi, con chi vuole seguirci. Scriverò la sceneggiatura e l'idea è quella di creare un film di quarantadue minuti, non un prodotto finito di ottanta minuti. Sarà il primo episodio di una serie che farò acquistare a tutte le emittenti televisive ungheresi. Abbiamo girato il primo episodio in undici giorni, lavorando tredici/ quattordici ore al giorno. Eravamo un gruppo di amici che considero la mia famiglia cinematografica. Poi mi sono presentato presso la sede della HBO senza conoscere nessuno. Da un assistente all’altro sono riuscito a ottenere un appuntamento. Ho trascorso i due mesi precedenti all'incontro scrivendo gli episodi successivi sapendo che, se la HBO fosse rimasta incuriosita dalla prima parte, mi avrebbe chiesto di raccontare il resto. Ed è quello che è successo! Ho detto subito che volevo essere il regista della serie e che volevo che tutti i miei compagni mi seguissero.

Nella ricostruzione dell’epoca, tutto è estremamente curato: le ambientazioni, gli oggetti, gli abiti, ecc. Deve essere stato necessario un grande lavoro di ricerca.
Sì. Strategicamente ho pensato che fosse giusto chiedere ai grandi vecchi dell'epoca, a un costumista e a un parrucchiere che erano adulti negli anni Ottanta, di dirmi se sembrava vero e di fare esattamente quello che avrebbero fatto in quel momento. Questo è stato davvero importante per me e potrei dire che l’azzardo si sia rivelato vincente. Fin dall'inizio ho cercato questo mix tra la verità storica, portata dalla generazione dei miei genitori, e una nuova energia portata da noi giovani.

Qual è il suo rapporto con questo periodo? Come lo percepisce e cosa l’ha spinta davvero a raccontarlo?
L’aspetto interessante della mia generazione, in relazione a questo periodo, è che siamo tutti cresciuti in famiglie che parlavano di un mondo che non esisteva più se non in pochi oggetti del passato. Siamo cresciuti tutti circondati da una nostalgia che ci era estranea. I nostri genitori, e soprattutto i nostri nonni, hanno un rapporto molto ambiguo con questo periodo. Ovviamente i miei genitori, come i protagonisti della serie, avevano una visione molto idealizzata dell'Occidente, ma non avevano idea di cosa stesse succedendo dall'altra parte e questo mi è sempre sembrato molto, molto interessante. Ciò che mi interessa in tutto ciò che faccio è il punto di svolta, a causa di una situazione anomala e inaspettata, verso qualcosa di diverso che definirà il nostro futuro. L'Europa centrale e occidentale del XX secolo è piena di queste storie. La scommessa in cui vorrei riuscire è far sì che il pubblico occidentale senta questo, lo percepisca, che la generazione dei miei genitori e dei miei nonni guardi la serie per nostalgia e che i giovani la guardino per l'energia che sprigiona. In questo senso, ho avuto cura di scegliere attori per lo più emergenti. Trovo difficile entrare in contatto con la generazione di registi ungheresi che mi ha preceduto, quindi ho voluto dare alla nuova generazione l'opportunità di emergere, scrivendo per loro ruoli più complessi di quelli che di solito vengono offerti alla loro età. Il formato seriale mi ha aiutato molto in questo senso, perché abbiamo il tempo per costruire davvero i personaggi. Trovo che, in termini di scrittura e recitazione, i personaggi siano più tridimensionali. Le relazioni che si creano possono svilupparsi in modo più complesso e gli attori possono imitare meglio la vita reale. Quando ero bambino leggevo molto e questo mi portava altrove, coinvolto in una grande storia, e trovo che quando una serie è ben fatta, si abbia la stessa impressione e si percepisca una profondità nel mondo che è stato costruito, nei personaggi.

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(Tradotto dal francese da Rachele Manna)

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