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BERLINALE 2022 Generation

Colm Bairéad • Regista di The Quiet Girl

“Ho deciso che la telecamera non lasciasse mai la protagonista”

di 

- BERLINALE 2022: Dall'Irlanda arriva una storia di formazione intima ambientata negli anni '80 ma adatta a tutte le epoche

Colm Bairéad  • Regista di The Quiet Girl

Il regista irlandese Colm Bairéad presenta il suo nuovo lungometraggio su una giovane ragazza che compie il suo passaggio all’età adulta quando viene mandata in una famiglia affidataria per l'estate. The Quiet Girl [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Colm Bairéad
scheda film
]
fa parte della sezione Generation della Berlinale di quest'anno. Abbiamo parlato con il regista del racconto su cui si basa il film e di come lo ha adattato per il grande schermo.

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Cineuropa: Come si è imbattuto nel racconto di Claire Keegan?
Colm Bairéad: Era il 2018 e stavo cercando materiale per un film. Su The Irish Times, vidi un articolo che menzionava le dieci migliori opere irlandesi scritte da donne. Il racconto Foster di Claire Keegan era una di queste. L'ho letto e ne sono rimasto molto colpito. Immediatamente, mentre lo leggevo, ha iniziato a diventare un film nella mia mente. Mi è piaciuta la natura distaccata ma estremamente compassionevole del testo. Mi sono davvero connesso con la protagonista. Ma dato che è stato pubblicato nel 2010, temevo che i diritti non fossero più disponibili. Mi ha fatto piacere che non fosse così.

Quali sono state le maggiori sfide nell'adattare il racconto in un film?
La storia è piuttosto breve e sembrava un po’ esile; fondamentalmente, non c'è molta trama. Così ho inventato un altro capitolo per la storia, ovvero il primo capitolo del film. L'ho creato sulla base dei ricordi della protagonista citati nel libro. Tuttavia, la cosa più importante era concentrarsi sull'atmosfera e sul punto di vista in prima persona. Per me era importante trovare un modo per incorporare questo punto di vista in prima persona. Per favorire questo, ho deciso che la telecamera non dovesse mai lasciare la protagonista, per esempio. Volevo anche mostrare che se guardiamo un momento della vita di questi personaggi e sembra banale, se lo guardiamo da vicino possiamo estrarne qualcosa di bello.

Quali erano gli aspetti più importanti che voleva trasmettere?
È una storia d'amore. Riguarda le relazioni nella prima infanzia che ci formano, ci forgiano e ci sostengono. Il tema del sostentamento è molto importante. Si tratta di crescita emotiva e fisica. In questo contesto, ho voluto concentrarmi sul cibo, per farne un elemento di spicco, perché diventasse metafora di tale crescita. Quando arriva alla famiglia affidataria, improvvisamente ha cibo in abbondanza, a differenza di prima. Inoltre, "Foster" in irlandese significa "cibo, nutrizione". C'è una sfortunata verità: non è sempre con la tua famiglia biologica che trovi la felicità.

Ha svolto qualche ricerca specifica per il film?
Poiché la storia è ambientata nel 1981, volevamo includere lo sfondo storico e, inizialmente, avevamo girato una scena direttamente collegata all'epoca e allo sciopero della fame di quegli anni. Alla fine, l'abbiamo lasciato in forma implicita. Abbiamo svolto ricerche su costumi e location. E poi, quando si tratta di maltrattamenti sui bambini, l'Irlanda ha una storia vergognosa, di cui ci sono molti documenti. Si tratta di orfani o bambini considerati difficili. La maggior parte di queste cose sono avvenute con l'autorizzazione dello Stato e della Chiesa. Volevamo che il film fosse un’opera empatica verso questi bambini.

Perché è importante per lei girare in irlandese?
Sono cresciuto a Dublino, in una famiglia bilingue di lingua inglese e irlandese. Anche io e mia moglie stiamo crescendo i nostri figli bilingue. La lingua irlandese mi sta a cuore. È una lingua parlata da una minoranza, nelle zone rurali dell'Irlanda. Ma negli ultimi anni ci sono stati alcuni tentativi di riportarla sulla mappa. Alcune scuole la stanno insegnando di nuovo. È notevole che negli ultimi due o tre anni il numero di film girati in irlandese sia raddoppiato, mentre prima ero una delle poche persone a farlo.

La lingua è molto importante anche per la storia, poiché la lingua madre di Cait è l'irlandese ma suo padre parla inglese, il che crea una distanza. Era questa la sua intenzione?
Ha significati diversi. In primo luogo, non volevo assolutamente suggerire che i cattivi parlano inglese, volevo solo sottolineare che il fenomeno delle famiglie bilingui esiste davvero. Ma è anche un modo per dimostrare che la comunicazione tra quest'uomo e i suoi figli non è solo difficile, è inesistente. C'è una barriera linguistica dal punto di vista del padre.

Può dirci di più sul concept visivo del film?
Quando è arrivata per la prima volta nella nuova famiglia, sentivamo che doveva esserci un maggiore senso dello spazio, che rappresentasse un senso di possibilità. Finalmente ha spazio e tempo per pensare. Il pubblico deve fare un passo indietro rispetto alla protagonista. Altrimenti, in generale, volevo che tutto apparisse il più naturale possibile, il più veritiero possibile e non manipolato. Mi è piaciuto anche il simbolo delle porte, come metafora della sensazione della protagonista di essere in una fase intermedia verso una migliore comprensione delle cose.

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(Tradotto dall'inglese)

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