email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

CPH:DOX 2022

Victoria Fiore • Regista di Nascondino

“Non diventare cinici è difficile, è una lotta”

di 

- La regista ci ha parlato del processo di realizzazione del suo lungometraggio di debutto, interamente ambientato nei Quartieri Spagnoli di Napoli

Victoria Fiore • Regista di Nascondino

In Nascondino [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Victoria Fiore
scheda film
]
, Victoria Fiore racconta la dura quotidianità vissuta da Entoni, all’inizio del film un ragazzo dei Quartieri Spagnoli di Napoli appena dodicenne. Il lungometraggio di debutto della regista, proiettato nel corso dell’edizione di CPH:DOX di quest’anno, è una coproduzione italo-britannica. Abbiamo colto l’opportunità di intervistare Fiore per discutere del lungo processo di lavorazione e dell’intensa esperienza emozionale che ha vissuto entrando a stretto contatto con una realtà familiare ai margini della società napoletana.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Cineuropa: Quando e come hai iniziato a lavorare al progetto?
Victoria Fiore: È difficile identificare un momento in cui ho iniziato a lavorare sul progetto perché è avvenuto tutto molto spontaneamente. Ero lì e stavo facendo un workshop di cinema. Un’assistente sociale dell’Associazione Quartieri Spagnoli e mia amica, Eleonora Dell’Aquila, mi ha mostrato dei video con dei bambini che descrivevano Napoli con i tipici modi di dire del luogo e questi bambini ci hanno chiesto di filmare il “cippo” [l’annuale falò di Sant’Antonio organizzato dai Quartieri]. Li abbiamo coinvolti, gli abbiamo dato delle GoPro e gli abbiamo chiesto di raccontarci di questa tradizione. Questo è quello che è diventato il materiale iniziale per lo sviluppo di Nascondino. Tramite questa esperienza, ho incontrato Entoni. Era particolarmente interessato alla camera. Voleva filmare Titanic sulla spiaggia con suo cugino, raccontarci dei suoi sogni e del suo quartiere, dimostrando grande creatività. Abbiamo poi incontrato Dora [Addolorata, la nonna di Entoni], alla quale le nostre attività erano piaciute molto. Mi ha invitata per un caffè chiedendomi chi fossi e cosa facessi. Inizialmente, non voleva essere ripresa. […] Col tempo, Addolorata ci ha consentito di filmarla sempre più [liberamente]. È stato un percorso lungo quattro anni.

Quali difficoltà tecniche ha riscontrato?
Abbiamo girato tutto io e il mio direttore della fotografia [Alfredo De Juan], per l’80% del tempo. Gli spazi sono piccoli ed è stata anche una scelta ottimale per mantenere l’intimità con i soggetti. Non esistevano orari. Tutto doveva essere assolutamente improvvisato, sempre. Questa è stata forse la cosa più difficile da gestire. D’altro canto, ci è andata bene perché abbiamo potuto filmare una realtà più “viva.” È difficile seguire la quotidianità nei Quartieri.

La famiglia ha visto il film? Come ha reagito?
I primi a vedere il film sono stati l’avvocato e l’assistente sociale. Dopo l’ha visto Dora. Prima di farle vedere il film, le ho mostrato tutto il copione e ho anche parlato a tutta la famiglia, quindi loro più o meno già sapevano cosa aspettarsi. A Dora è piaciuto tanto. Poi l’abbiamo mostrato a tutti gli altri. Dal primo momento Natalia [la madre di Entoni] mi ha abbracciato e abbiamo pianto insieme. Ci ha ringraziato per aver raccontato una storia autentica. È piaciuto anche a Gaetano [il fratello minore di Entoni]. Vogliamo portarlo a Napoli a giugno. È nei nostri piani.

Come ha lavorato con il compositore, CJ Mirra?
Abbiamo lavorato tantissimo insieme. Napoli è claustrofobica e non c’è un momento di silenzio. Non mi aspettavo di creare questa “festa musicale” all’interno del film. Inizialmente, volevamo una colonna sonora basata sull’elettronica perché Napoli è moderna e cinematica, e molte altre cose. Quando ho sentito il lavoro sonoro di CJ Mirra, dalla composizione quasi “liminale,” mi è piaciuto molto. Si colloca a metà strada tra musica e sound design, tra melodia e musica d’ambiente. È una musica che ti tocca l’anima senza essere troppo invadente. Poi, la storia è come se fosse talmente tanto reale da non sembrare vera, non se mi spiego…

Da spettatore, ho avuto infatti la sensazione di guardare un film molto realistico ma comunque di finzione.
Volevamo dare questo tocco di finzione, quasi al di là della realtà. La musica aiuta a trasportarci in questo mondo che non è più documentario ma è molto “più in là.”

Come l’ha cambiata umanamente questa esperienza?
Il processo di fare un film è sicuramente molto intenso e cambia tante cose. Non diventare cinici è difficile, è una lotta. A volte, vedi certe storie davanti ai tuoi occhi che ti fan venir voglia di perdere la speranza. Fare un documentario con l’idea di cambiare qualcosa è naive. Tuttavia, è stato importante esserci durante il percorso ed accompagnare i personaggi fino alla fine, offrendo loro il supporto necessario. È sicuramente un’esperienza che ti fortifica.

Qual è il suo prossimo progetto?
Sto scrivendo un lungometraggio di finzione basato su una storia vera, ambientato in Nord Italia ed intitolato Aida.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy