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VENEZIA 2022 Concorso

Susanna Nicchiarelli • Regista di Chiara

“C’era qualcosa di questo racconto del Medioevo, con le sue paure, le sue malattie, il suo isolamento che mi sembrava parlare al contemporaneo”

di 

- VENEZIA 2022: La regista italiana ci ha parlato delle sue scelte di casting, del suo lavoro sul volgare e delle sue fonti d’ispirazione

Susanna Nicchiarelli • Regista di Chiara

Al Tennis Club del Lido di Venezia, abbiamo incontrato Susanna Nicchiarelli. Il suo nuovo film, Chiara [+leggi anche:
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intervista: Susanna Nicchiarelli
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, è in concorso alla Mostra di Venezia e racconta la vita dell’omonima santa, qui interpretata da Margherita Mazzucco.

Cineuropa: Perché ha deciso di raccontare la storia di Santa Chiara oggi?
Susanna Nicchiarelli: In realtà l’incontro con Chiara è avvenuto il 7 marzo 2020. Stavano per chiudere il paese ed avevano già chiuso le scuole. Ho portato i bambini a vedere gli affreschi di Giotto ad Assisi. Eravamo soli, era un’atmosfera stranissima... Sono sempre stata appassionata di San Francesco, sono umbra di origini. Il suo messaggio è cosi radicale e la scelta della povertà è qualcosa che colpisce anche se sei non credente. Sapevo che Chiara era stata accanto a lui, però nei film su San Francesco come quello di Franco Zeffirelli [Fratello sole, sorella luna], Chiara appare poco. Quello dove appare di più è quello di Liliana Cavani [Francesco]. Mi sono incuriosita e ho acquistato un paio di libri sulla sua storia. Ho scoperto cosi che c’è una lettura della santa fatta da questa storica, Chiara Frugoni, che ha lavorato per tanti anni su una storiografia completamente diversa da quella ufficiale. […] Chiara voleva seguire l’esempio di Francesco. Capendo questa discrepanza tra la storiografia ufficiale, più religiosa e quella vera di questa ragazza, sono rimasta molto affascinata. Questo periodo coincideva col primo lockdown, eravamo chiusi in casa. C’era qualcosa di questo racconto del Medioevo, con le sue paure, le sue malattie, il suo isolamento che mi sembrava parlare al contemporaneo. Questa urgenza, questa radicalità anche della scelta di vivere in comune, stando accanto agli ammalati e in un mondo estremamente pericoloso, mi ha colpito. Mi sono resa conto che il Medioevo è molto più vicino al nostro quotidiano – in quel momento, soprattutto – di quanto credessimo. Alla base delle idee di questi ragazzi c’era anche un ripensamento del concetto di comunità, della vita in gruppo, oltre che una critica radicale alla società. Ho sentito che quei temi erano molto vicini all’oggi.

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Che tipo di qualità attoriali ha ricercato per i ruoli di Francesco e Chiara?
Innanzitutto, la cosa che ho subito deciso leggendo è stata fare attenzione all’età anagrafica. Su tanti film su San Francesco, è sempre stato adulto, così come Chiara, era sempre una trentacinquenne… Erano ragazzini, invece. Lei aveva diciott’anni, lui aveva dodici anni di più di lei, ma era comunque un ragazzo. Ho pensato fosse fondamentale trovare degli attori che avessero l’età reale dei personaggi di cui raccontavamo la storia. Raccontandola in questo modo, l’avremmo resa più vera. Ho seguito questo spunto ed anche una certa modernità nella recitazione sia di Andrea [Carpenzano], sia di Margherita [Mazzucco]. Ci avrebbero avvicinato molto di più alla vicenda.

Sulla questione della naturalezza, che tipo di lavoro ha fatto sul volgare, visto che gli attori mostrano tutti grande spontaneità? Interpreti alle prime armi suonerebbero facilmente ridicoli...
La via del volgare è questa. Francesco è sempre stato raccontato non soltanto con età diverse ma sempre doppiato e, per un motivo o per un altro, interpretato con l’italiano standard o l’italiano del doppiaggio, questa specie di lingua nell’iperuranio. Ho scelto il volgare per portarli vicino a noi. Allora l’italiano non esisteva, anzi esistevano i dialetti. Il dialetto è un modo – penso ad esempio ai frati francescani di Uccellacci, uccellini – di trasmettere quella fragilità, quella verità. Il volgare l’ho usato perciò come un dialetto, come una lingua buffa che fa quasi tenerezza, infantile, un modo per non farli parlare come libri stampati… [..] I ragazzi si sono trovati bene, hanno imparato questa lingua come un codice, tra di loro. Non erano imbrigliati ma liberi di giocare con le parole.

Ma ha gestito interamente questo aspetto da sola?
No, ho lavorato con una storica della lingua italiana che insegna alla Sapienza, Nadia Cannata. Abbiamo adattato i dialoghi che avevo scritto in italiano standard. Dopo aver improvvisato durante le prove, mi sono sentita con lei, ho riscritto i dialoghi e, dopo molto lavoro, questa lingua l’abbiamo imparata un po’ tutti.

Ha nominato Giotto all’inizio della nostra conversazione. In merito al lavoro di fotografia con Crystel Fournier, quanto ha inciso l’iconografia medievale? In diverse scene, l’uso della frontalità e la simmetria sono palesi…
Sicuramente abbiamo lavorato sulle immagini dell’epoca, anche per quanto riguarda le fantasie di Chiara. Ci sono quadri ed affreschi presi come riferimento. Senz’altro la frontalità faceva parte del linguaggio del film. L’uso della luce da parte di Crystel è molto semplice e di questo sono contenta. Abbiamo usato poca luce, eppure abbiamo composto sempre. Era un Medioevo buio e di candele ma siamo riusciti a recuperare quei colori attraverso le scenografie ed i costumi che rimandano all'iconografia di allora. Il formato [cinemascope] è stato un’altra scelta importante. Ci ha obbligato a raccontare Chiara con il gruppo intorno, con la natura… Cercavamo sempre un po’ il metafisico quando dovevamo inquadrare le chiese, i campi, [e di restituire] questa dimensione dell’uomo molto piccolo, nonché la dimensione della coralità e della comunità.

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