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TORONTO 2022 Platform

Carmen Jaquier • Regista di Foudre

"Avevo bisogno di riscrivere la storia, di creare un’antenata forte che potesse ispirarmi oggi"

di 

- La regista ci parla del suo potente ritratto di un personaggio che lotta per una libertà di amare che la società vorrebbe cancellare per sempre

Carmen Jaquier • Regista di Foudre

In occasione della sua prima nella sezione Platform del Festival di Toronto, la regista svizzera Carmen Jaquier ci parla con passione del suo primo lungometraggio Foudre [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Carmen Jaquier
scheda film
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, del suo amore per il cinema di Pasolini e del suo desiderio di mettere in luce personaggi dimenticati dalla storia.

Cineuropa: Lei cita Il Vangelo secondo Matteo tra i suoi riferimenti. In che modo il lavoro cinematografico di Pasolini ha influenzato la sua regia? Quali sono state le sue altre fonti di ispirazione?
Carmen Jaquier:
Non conosco molto bene tutto il lavoro di Pasolini, ma ricordo benissimo ogni volta che sono entrata in contatto con i suoi testi, le sue immagini, la sua voce. Penso che Pasolini, attraverso le sue ossessioni, il suo pensiero e il suo rapporto con il sacro, tocchi la grazia. Il Vangelo secondo Matteo è stata una delle basi del nostro lavoro con la capo operatrice Marine Atlan. Ci siamo immerse in questo film affinché la sua materia ci penetrasse e impregnasse le nostre ricerche sull'inquadratura, il movimento dei corpi e la cinepresa che li accompagna. Anche Segantini è un riferimento importante, troviamo un dettaglio del suo dipinto La Natura nel prologo di Foudre. Mi sono ispirata all'immensa solitudine che emana dai suoi personaggi, spesso giovanissimi. Sempre tra i pittori, l'opera di Marguerite Burnat-Provins è stata molto importante nell'immaginare, in fase di scrittura, l'oscura interiorità di Innocente, la sorella di Elisabeth. Ci sono tanti riferimenti, visibili o nascosti, che mi hanno accompagnata durante questo processo: Sarah Kane, Marie Métrailler, Carlos Reygadas, S. Corinna Bille, Sally Mann, Ana Mendieta, Kurt Cobain...

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Perché ha scelto di lavorare con attori/rici non professionisti e al loro primo ruolo nel cinema?
Fin dal mio primo cortometraggio, poiché scrivevo ruoli per bambini e ragazzi, ho lavorato quasi esclusivamente con attori "non professionisti". Essendo io stessa agli inizi, apprezzo il fatto che impariamo e cresciamo insieme. Con la direttrice del casting Minna Prader, stavamo cercando volti nuovi che potessero dare l'impressione di venire da altri tempi, ma che potessero anche imporsi come corpi e presenze contemporanee, conservando la verità di quei volti. Il casting rappresenta soprattutto un incontro così come la sincerità che emana da questo incontro. Il lavoro con gli attori è stato speciale, poiché l'ultima fase del casting, così come le prove, sono state interrotte dal primo lockdown. Fortunatamente, avevamo potuto discutere a lungo durante i primi casting e avevamo svolto vere e proprie sessioni di lavoro insieme. Nonostante queste complicazioni, legate al ritardo nella preparazione del film, sono riuscita a fare in modo che i quattro ruoli principali trascorressero tre giorni con l'attore e regista Aurélien Patouillard. Il suo obiettivo era far sentire ai giovani attori "lo spirito di squadra". Aurélien ha svolto in brevissimo tempo un lavoro importante, basato in particolare sull'autonomia degli attori sul set. Ha saputo invitare gli attori a riflettere sul sentimento di appartenenza al gruppo.

Nel suo film c'è un mix molto interessante tra passato e modernità. Perché questa scelta?
Abbiamo introdotto tocchi di modernità ovunque abbiamo potuto, senza perdere di vista l'aspetto storico del film: nei colori, nelle scenografie, nei volti, nei gesti. Durante la sequenza in cui Elisabeth legge il taccuino di Innocente, abbiamo abbracciato il digitale al punto da rendere visibili i pixel per creare un materiale vivo, vibrante e non romantico, ispirato all'immagine DV. Il film a volte confonde le acque, questo era essenziale per me. Nello scrivere il personaggio di Elisabeth, avevo bisogno di riscrivere la storia, di creare un’antenata forte che potesse ispirarmi oggi. La grande storia, quella che si scrive nei libri, è sempre una questione di punti di vista. Durante la mia ricerca, mi sono trovata ad affrontare l'abisso lasciato da certe vite che non interessavano a nessuno. Eppure ogni essere umano è parte della storia. Spero che la ricerca di Elisabeth possa ricordarci che una trasmissione benevola, così come una migliore comprensione di noi stessi e delle strutture di oppressione, ci permettono di costruire un mondo più giusto e meno binario. Le conversazioni, le confidenze che Elisabeth e le sue amiche si scambiano a mezze parole, rivelano il loro bisogno di tenerezza e connessione con gli altri, con se stesse.

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(Tradotto dal francese)

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