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LECCE 2022

Irma Pužauskaitė • Regista di The 9th Step

“Per avvicinare il pubblico a questo dramma ho usato la leggerezza nello sguardo”

di 

- La regista lituana parla del suo film, che racconta gli sforzi di un padre ex alcolista per ricostruire un rapporto con la figlia adolescente, ed è stato premiato a Lecce

Irma Pužauskaitė • Regista di The 9th Step

Un tema drammatico affrontato con delicatezza quello di The 9th Step [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Irma Pužauskaitė
scheda film
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, esordio al lungometraggio della regista lituana Irma Pužauskaitė, diplomata alla LMU Film School di Los Angeles. Dopo i passaggi ai festival di Tallinn e Cottbus, il film, che racconta gli sforzi di un padre ex alcolista per ricostruire un rapporto con la figlia adolescente, è stato selezionato in Concorso al Festival del Cinema Europeo di Lecce dove ha conquistato il premio per la Migliore fotografia, quello del Pubblico e il Premio Cineuropa. Abbiamo incontrato la regista, presente a Lecce per la premiazione.

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Cineuropa: Il tuo è uno sguardo molto tenero su questa famiglia disfunzionale lituana.
Irma Pužauskaitė: Certamente quello affrontato dal film è un argomento pesante. Ma io credo che anche le persone che fanno un percorso di recupero da una dipendenza abbiano una certa leggerezza nel coltivare la speranza. E questa leggerezza io ho voluto portarla nel film. La tenerezza che ho adottato nello sguardo servirà ad attirare il pubblico anziché allontanarlo, perché quello della dipendenza e del dramma familiare è un tema che tende a dissociare, non ad unire, mentre volevo che il pubblico si sentisse coinvolto.

Hai comunque mantenuto il lato oscuro della vicenda, prediligendo toni caldi, ambienti notturni. Ci sono elementi da film drammatico nordamericano che si sposano con la “scuola polacca” del direttore della fotografia Jacek Podgórski.
Sono un po’ apolide, quando sono in America sono troppo europea, quando sono in Europa sono troppo americana, dovrei trasferirmi in Australia per mantenere un certo equilibrio! Ho lavorato molto con la luce, mi piace poter lavorare con diverse sfumature. Credo che la notte abbia delle caratteristiche che si adattano particolarmente alla storia. Le persone che vivono il percorso di recupero tendono a svegliarsi molto tardi e restare svegli di notte. La notte ha una bellezza intrinseca e porta maggiori tentazioni ma d’altra parte il mattino è il momento in cui si ritorna alla realtà, bisogna alzarsi e andare a lavorare. Volevamo mantenere questa dualità, questo contrasto tra giorno e notte. Una fonte di ispirazione per l’aspetto visuale e per la storia drammatica che affronta è stato certamente Moonlight di Barry Jenkins, e l’influenza del cinema europeo è innegabile sia in termi di scrittura che di stile, perché sono cresciuta con quella cinematografia. Volevamo fornire una sorta di assaggio di questa diversità al pubblico.

La musica, che è un elemento universale, è quello che avvicina il padre e la figlia.
Nel film c’è molta musica, perché penso che rappresenti bene le differenti generazioni dei personaggi. C’è il contrasto tra la figlia adolescente che suona la musica classica con uno strumento difficile come il corno francese, che accompagna la sua difficoltà nel crescere, e il papà che faceva il ballerino in una band pop. Si crea un dialogo tra questi due generi e per poter raggiungere questo equilibrio ho parlato a lungo con il compositore dello score, Domas Strupinskas, che conosco da tanti anni. Ho usato molta musica pop sullo sfondo per caratterizzare soprattutto il personaggio del padre, che è una persona che non va troppo in profondità ma “goes with the flow”, accetta quello che arriva. In generale, quando scrivo, la musica è una fonte di ispirazione, mi serve per creare un mood.

C’è una battuta scherzosa nel film, riferita ad una possibile “invasione russa”, che fa pensare alla legittima ossessione dei Paesi baltici, oggi confermata dall’invasione dell’Ucraina.
La prima bozza della sceneggiatura risale al 2016. La stessa attrice che pronuncia la battuta, Angelina Daukaité, inizialmente non ne capiva la ragione. La location dove abbiamo girato il film è molto vicino alla “oblast” di Kaliningrad, dove la comunità russa è molto presente. Per quello abbiamo appositamente conservato l’accento lituano-russo dell’attore Valentin Novopolskij. In quel momento non potevamo immaginare quello che sarebbe accaduto. Mio nonno è stato deportato in Siberia, come pure mio bisnonno. Più che di ossessione io parlerei di un istinto alla sicurezza e alla protezione. Quando è iniziata la guerra avevo una gamba rotta e dal divano ho potuto partecipare alle proteste attraverso i social media. È una situazione tragica, da europea io ho paura. Quando ho visto in Russia le bandiere dell’ex Unione Sovietica ho provato sgomento, mi sono sentita violata.

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