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Italia

Barbara Cupisti • Regista di Hotel Sarajevo

“Le immagini di repertorio che avevamo appena visto erano le stesse che dall’Ucraina cominciavano a girare su tutti i social”

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- Abbiamo incontrato la regista italiana al Balkan Film Festival di Roma, per parlare del suo documentario sul trentennale dell’assedio di Sarajevo e del suo prossimo lavoro sull’Ucraina

Barbara Cupisti • Regista di Hotel Sarajevo

Barbara Cupisti, toscana di nascita, vive tra Varsavia e gli Stati Uniti. Dopo aver lavorato per molti anni come attrice, è passata dietro la macchina da presa e, ad oggi, ha al suo attivo undici documentari su temi sociali importanti. Con il suo primo lavoro, Madri (2007), sulle madri israeliane e palestinesi che vivono con il terrore di non rivedere i propri figli, ha vinto il David di Donatello; con Fratelli e sorelle - Storie di carcere (2012) si è aggiudicata il Premio Ilaria Alpi per il miglior reportage italiano. Hotel Sarajevo [+leggi anche:
intervista: Barbara Cupisti
scheda film
]
, sull’assedio della capitale bosniaca iniziato esattamente trent’anni fa, nel 1992, è il suo ultimo documentario, passato di recente al Sarajevo Film Festival, al Balkan Film Festival di Roma, dove l’abbiamo incontrata, e disponibile in Italia sulla piattaforma RaiPlay.

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Cineuropa: Quando è cominciato l’attacco all’Ucraina, lo scorso 24 febbraio, a che punto era con il suo lavoro su Sarajevo? E che effetto le ha fatto veder tornare la guerra nel cuore dell’Europa?
Barbara Cupisti: Eravamo in fase avanzata di montaggio e avevamo appena visionato tutto il materiale di repertorio disponibile. Le immagini che avevamo appena visto erano le stesse che dall’Ucraina cominciavano a girare su tutti i social. È stato uno shock, perché anche il modo di filmare era simile. A Sarajevo fu chiesto ai civili di documentare ciò che stava accadendo con le loro telecamere e noi ci siamo concentrati proprio su quel materiale, piuttosto che sui filmati dei tg. Erano immagini della gente comune, momenti molto intimi come quelli che si vedono oggi su Instagram. Hotel Sarajevo è un film su come si vive oggi in Bosnia-Erzegovina. Sono tre storie, tre generazioni a confronto sull’attualità, e su come il ricordo della guerra influenzi le loro vite.

Da dove viene il materiale di repertorio, di grande impatto, che avete utilizzato?
Viene da un regista bosniaco, Nihad Kreševljaković, che aveva cominciato a raccogliere i filmati dei videoamatori e che poi ha realizzato un film intitolato Do You Remember Sarajevo? composto da sei ore di materiale non montato, suddiviso in tre capitoli: videomessaggi (le persone, per comunicare, si mandavano una sorta di videolettere); matrimoni (a testimonianza che la vita, nonostante tutto, andava avanti); funerali (legati al conflitto). Nihad, che è il fondatore del Festival del Teatro di Sarajevo, compare anche nel mio film: il festival fu fondato proprio durante l’assedio, la gente voleva continuare a vivere normalmente ed era disposta a rischiare la pelle per poter andare a vedere uno spettacolo.

Come nasce invece l’idea di mettere l’ex hotel Holiday Inn al centro del racconto?
Il film nasce da un’idea di Andrea Di Consoli, che voleva fare qualcosa sul trentennale dell’assedio. Ho sposato immediatamente l’idea perché da tempo volevo fare qualcosa sulla Bosnia, e, ispirandomi a un’inchiesta che era uscita su Al Jazeera, ho pensato di centrarlo sull’hotel. Me lo ricordo benissimo quando vedevo i tg all’epoca, questo cubo giallo che non c’entra niente con il resto dell’architettura della città, dove i giornalisti stavano asserragliati come in una fortezza, e rimasto in piedi nonostante i bombardamenti. È stato il primo hotel di guerra. La prima persona che abbiamo contattato è stata Boba Lizdek e la coincidenza ha voluto che stesse preparando proprio in quel momento una mostra sull’hotel; lei, che all’epoca era una fixer, aveva vissuto il suo grande amore in quell’hotel e il trauma è stato talmente forte che non è riuscita ad andare avanti, è rimasta congelata in quel momento. Poi è venuto Zoran Herceg, che era entrato come nostro fixer, ma poi, sentendo la sua storia, abbiamo pensato di farlo diventare uno dei protagonisti, visto che oltretutto è un disegnatore fantastico (le animazioni nel film sono sue). Quando poi Boba e Zoran sono andati a incontrare Belmina Bajrović, la nuova direttrice dell’hotel, che ha 26 anni, ossia la stessa età che aveva Boba all’epoca dell’assedio, abbiamo deciso di mettere queste tre generazioni a confronto sull’attualità.

E com’è la Bosnia-Erzegovina oggi?
C’è chi rimane e diventa custode del passato. Chi ha vissuto la guerra da bambino, invece, cerca di cambiare le cose ma, siccome dal punto di vista politico è tutto congelato, non ci riesce e se ne va in un altro paese dove può avere le opportunità di un cittadino europeo. Zoran ora vive in Irlanda; in quella fascia d’età, tra i 38 e i 46 anni, sono andati via tutti. Poi c’è questa generazione di giovanissimi, che include quelli che vogliono scappare perché i salari sono bassissimi e, da un’altra parte, quelli che hanno studiato all’estero, hanno capacità imprenditoriali e vogliono tornare e investire nel loro paese. La situazione è di attesa, e di speranza, che avvenga qualcosa. Il conflitto fu fermato con gli accordi di Dayton ma non è stato risolto, è rimasto in sospeso. Probabilmente, se venisse fatto un patto per la tregua in Ucraina oggi, si creerebbe una situazione simile, rimarrebbe tutto congelato in una sorta di limbo.

A proposito di Ucraina, lei ci è appena stata per il suo prossimo lavoro. Quale angolo ha scelto?
Sono tornata dall’Ucraina da pochi giorni, abbiamo girato in tutto per tre settimane, sono partita da Odessa, e poi Lviv, Kiev, Borodjanka… Lì il conflitto è in essere, parti con un’idea ma poi cambia tutto in corsa, è difficile seguire una scaletta. La grossa domanda di partenza è perché nel 2022, con tutto quello che avremmo dovuto imparare, ci siano ancora conflitti di questo tipo; e poi c’è il ruolo delle donne, che in Ucraina è particolarmente importante.

Il suo passato da attrice influisce in qualche modo sul suo approccio come regista?
Di solito parto da un macro argomento che mi interessa, ma poi mi focalizzo sulle persone, da una storia privata puoi capire tantissimo di ciò che accade a livello sociale. La differenza è che da attrice sono curiosa delle risposte. Da attrice riesci a captare sfumature, parole, gesti che aiutano te e l’altra persona ad aprirsi in modo diverso. Tutte cose che se ti prepari le domande e ti focalizzi solo su quelle, rischi di perdere.

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