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SUNDANCE 2023 Concorso World Cinema Documentary

Lina • Regista di 5 Seasons of Revolution

“La storia non è completa se parla solo di una persona”

di 

- La regista esordiente affronta la rivoluzione siriana – e l'amicizia – nel suo personalissimo documentario

Lina • Regista di 5 Seasons of Revolution

La giornalista siriana passata alla regia, e che ora si fa chiamare Lina, si mette in gioco personalmente nel suo debutto nel lungometraggio, concentrandosi sui conflitti del suo Paese, ma anche sui suoi stessi amici. In 5 Seasons of Revolution [+leggi anche:
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intervista: Lina
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, le persone combattono, vedono i loro sogni infrangersi, si arrendono e sperano per il meglio. Vivono, ma la morte è sempre incombente. Abbiamo incontrato la regista per parlare del suo film, presentato al Sundance Film Festival nella World Cinema Documentary Competition.

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Cineuropa: I documentari che ritraggono la guerra e i conflitti possono rendere le persone un po' sbiadite - per quanto possa sembrare orribile, ci si abitua a queste immagini. Ma qui tu parli della perdita dell'innocenza e dell'amicizia, una cosa che arriva allo spettatore in modo diverso.
Lina: La gente accetta la guerra come parte della vita. Se ne parla al telegiornale, si sta male per un momento e poi si cambia canale. È passato un po' di tempo da quando la Siria era sotto i riflettori, ma non me ne preoccupo troppo, perché questo film non è incentrato sui titoli dei giornali.

All'inizio eravamo molto ottimisti. Pensavamo che sarebbe durata forse un anno. Alla fine ce ne sono voluti altri dieci per completare il film, quindi ovviamente la storia è cambiata completamente. Ho capito che l'unico elemento stabile era l'amicizia, con tutti i suoi alti e bassi. Ho sempre voluto avere questa molteplicità di personaggi e punti di vista. Sento che la storia non è completa se parla di una sola persona.

Non sono sempre d'accordo, litigano e cambiano idea su come reagire. Vederli perdere l'entusiasmo iniziale, beh, è straziante.
È molto facile essere entusiasti quando si pensa che si tratti solo di persone contro il regime - "noi" contro "loro". Ma si trattava di una rivolta dell'intero Paese, quindi la situazione era destinata a complicarsi. Abbiamo iniziato il montaggio nel 2012, quindi non mi sono mai allontanata dalla materia, ma grazie a tutto questo tempo ho avuto la possibilità di guardare le cose da tutte queste prospettive diverse. Spero davvero che questo si rifletta nel film.

Compreso quello che ha a che fare con la vita quotidiana, che a volte è quasi divertente. Come quando tu dici, con calma: "Avevano preso Rima. Ho deciso che dovevo dare da mangiare ai suoi gatti".
A un certo punto mi è sembrato che la voce fuori campo fosse il sesto personaggio del film. Aveva una vita propria. La mia voce [gentile] è diventata una compagna stabile, che rassicura il pubblico. Come giornalista, questo è anche il mio modo di intervistare le persone. Inoltre, questi momenti divertenti erano assolutamente essenziali: ci hanno salvato la vita. Prima della guerra, non apprezzavo molto i comici e il loro contributo alla società. Ma se non fosse stato per la nostra capacità di fare battute, non credo che ce l'avremmo fatta.

A proposito di rassicurare gli spettatori, ti sei mai sentita in dovere di concludere con una nota più positiva?
Questo è stato uno dei motivi per cui ci è voluto tanto tempo per finire il film. Mi ci è voluto un po' per accettare questa situazione come la fine della storia. Osservavo i miei amici e guardavo dove stavano andando, anche per sapere come concludere la storia. Non piangiamo più giorno e notte, ma non volevo forzare una scena di chiusura che facesse stare bene. Non volevo nemmeno colpire duramente il pubblico. Volevo mostrare come stanno le cose, semplicemente e onestamente. Sembra che siano passati 50 anni, invece di 15, ma tutto questo mondo è scomparso. Sembra che sia successo una vita fa.

Si ha l'impressione che anche tu stia cercando di capire le cose, nel film, come giornalista e come regista.
Non c'erano schemi per nessuno di noi o per nessuno di questi "compiti" che stavo cercando di portare a termine. Nessuno ti dice come raccontare ciò che accade nel tuo Paese, soprattutto quando ci sono così tante situazioni: ciò che accadeva a Damasco era una storia, mentre Aleppo era un'altra. A seconda che tu sia una donna, un uomo, o se sei stato detenuto, sono state tutte esperienze molto diverse.

Molti documentari sono realizzati da persone che vanno da qualche parte e poi condividono la loro prospettiva. È normale, immagino, ma non credi che sia totalmente diverso quando si è sempre lì?
Anche per me è un problema, anche quando si tratta di reportage televisivi. Tutti questi "esperti del mondo" volano da qualche parte per due settimane e poi riassumono tutto in tre minuti. Perché ci beviamo tutto questo? Possono portare una prospettiva nuova, certo, o fare dei collegamenti che tendiamo a trascurare, ma non mi sta bene l'idea che possano raccontare una storia migliore.

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(Tradotto dall'inglese)

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