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Patrice Leconte • Regista

Che bello lavorare con uno sceneggiatore!

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La prima ambizione di una delle più eclettiche personalità del cinema francese è quella di diventare…uno sceneggiatore. Difatti, nessuno loda di più degli sceneggiatori con cui ha lavorato, di nulla parla con più amore se non della commedia, un genere che gli va a pennello, nonostante i 27 anni che separano Les Bronzés 1 e 3.

Gazette des Scénaristes: Com’è nato il tuo coinvolgimento sul progetto Bronzés, Amis pour la vie ?
Patrice Leconte: Avevo collaborato insieme ai sei membri del gruppo dello ‘Splendid’, alla scrittura del primo Bronzés. Allora, si trattava dell’adattamento di un pezzo che avevano recitato al café-théâtre. Era una continua improvvisazione e la sera, dopo il lavoro quotidiano, io tentavo di mettere un po’ d’ordine in tutto il materiale che veniva fuori.
Da allora, abbiamo fatto strada e spero anche qualche progresso. La scrittura della sceneggiatura non presenta gli stessi problemi, e indubbiamente li intimorisce meno rispetto a 27 anni fa.
Una domenica mattina, Thierry Lhermitte mi chiama e mi dice: "facciamo Les Bronzés 3, tu che fai, sei dei nostri?". Al che io ho risposto : "Fantastico, non ho visto neppure una riga scritta, ma che importa?, quando sarà pronta la sceneggiatura me la farete leggere!"

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Hanno veramente scritto la sceneggiatura loro sei insieme ?
Sono sei autori che scrivono le parti dei sei personaggi che interpreteranno. Non che ciascuno si occupi esclusivamente del proprio personaggio dimenticando gli altri, ma sicuramente ognuno lavora soprattutto sull’approfondimento del proprio ruolo.

E’ molto tempo che non torni alla pura commedia. Hai fatto altre scommesse che, per altro, hai saputo vincere, sin dall’uscita di Tandem.
Ci metterei anche Spécialistes, che era un film d’avventura. Certo, è stato difficile risultare credibile in Monsieur Hire, Ridicule o La Fille sur le pont per chi aveva fatto Les Bronzés. Allo stesso tempo, mentre molti produttori erano impazienti di vedermi tornare alla commedia, in generale si poteva pensare che non fossi la scelta adatta per Les Bronzés 3, che col tempo potevo aver perduto il senso della comicità. In realtà, però, è qualcosa che non si perde.

Effettivamente, il dubbio era legittimo. Hai fatto moltissimi film contemplativi, lenti…
C’è un termine, che non amo molto per la verità, che è la ‘parola chiave’ per definire tutto questo, ed è ‘efficacia’. Essere efficaci nella risata, nel ritmo, nel pezzo di bravura, nell’imprevisto, oppure essere efficaci nel rendere una certa forma di emozione, nel non detto, negli sguardi, nei sottintesi, nel tentare di porre delle buone domande per sapere cosa provoca la risata, cosa sorprende, cosa fa commuovere o cosa seduce, è la base di tutto il nostro lavoro. Come è la base del ‘vostro’ lavoro, del lavoro degli sceneggiatori. Credo sia qualcosa che accade in fase di scrittura. Sono della scuola di pensiero di chi sostiene che con una buona sceneggiatura è praticamente impossibile fare un brutto film.

In quasi tutti i tuoi film, c’è una situazione comica. Il riso diviene un elemento di sorpresa fondamentale.
Mi sono reso conto che, a partire da Tandem, in tutti i miei film si può ritrovare qualche elemento che rimandi alla comicità. L’unica vera eccezione è Monsieur Hire.
Ma la cosa più divertente è proprio la consapevolezza che, a partire da una certa situazione iniziale, si può arrivare ovunque a seconda della direzione che viene impressa dalla volontà dello sceneggiatore. Devo ammettere che amo costruire delle storie o dei personaggi in contesti che esulino dalle tradizionali situazioni da commedia, per lasciare emergere lo humour come una possibile scappatoia laddove sento sia giusto. Anche per non cadere nella trappola della seriosità pretenziosa.

Si ha come l’impressione che i personaggi inizino ad interessarti nel momento in cui abbandonano i canoni della ‘normalità’, passaggio che rendi attraverso l’assurdo e l’umorismo.
Sai, sebbene non rifletta molto sulla creazione di una vera e propria poetica che informi tutti i miei film, mi sono fatto un’idea sugli elementi ricorrenti del mio lavoro. I personaggi dei miei film sono dei tipi ordinari, che grazie all’immaginazione, e guidati dalla sceneggiatura, si trasformano completamente. Cominciano a mordere il freno, a sfuggire dal loro quotidiano. Lo stato di grazia, è essere qualcuno completamente normale, ed arrivare a trarre piacere persino dalla quotidianità, mentre la si rifugge. Qualcosa che si può fare solo attraverso l’immaginazione.

Sin dall’inizio della tua carriera, hai sempre mostrato di aver fiducia negli sceneggiatori. Ciò nonostante, sai scrivere e l’hai già dimostrato.
Il lavoro solitario, seppure non rende sordi, ha dei limiti terribili. Da soli si può perdere totalmente la rotta senza neppure rendersene conto. E’ molto più costruttivo lavorare in coppia, con un alter ego di talento.
Nel lavoro a due ho conosciuto dei momenti veramente entusiasmanti, per esempio con Patrick Dewolf, con Serge Frydman, ed anche con altri. Delle esperienze che, curiosamente, si basavano sulla seduzione. Con Dewolf, scrivevamo a turno scambiandoci le scene. Ricordo molto bene che quando scrivevo la scena 17, la mia prima motivazione era che lui cadeva di sedere dicendo “formidabile”. Mentre quando scrivi la scena 17 per te stesso, puoi superarti e trovare dei trucchi che ti incantano, ma ti manca quella specie di alter ego, che è come uno strano specchio, cui sottoporre il tuo lavoro, mentre lui ti sottopone il suo.

Qualche collaborazione andata male c’è stata ?
Sì. Per esempio, ho scritto una prima versione di Tandem da solo, per gettare le basi della sceneggiatura che avevo in mente. Mi piace avere una trama, dei personaggi, un contesto, poi, successivamente, comunicare tutto questo ad uno sceneggiatore per lavorare con lui. In un primo momento, ho proposto la mia versione di Tandem a Martin Veyron. C’era una buona intesa tra di noi, abbiamo scritto una stesura di Tandem che non era affatto male. C’era tutto quello che volevo metterci e, ciononostante, mancava l’essenziale.
Il progetto si è trascinato per molto tempo prima di trovare un produttore, al che mi sono rimboccato le maniche con Patrick Dewolf e abbiamo riscritto Tandem, senza Martin Veyron. Non fu molto elegante da parte mia, lo ammetto. Credo che Tandem sia divenuta una buona sceneggiatura perché Dewolf mi ha aperto gli occhi su qualche trucco fondamentale che gli ha permesso di fare progressi enormi. Così è diventato un film veramente simile a ciò che avevo in mente.
Ma l’esperienza che più mi ha colpito è stata Ridicule di Rémi Waterhouse. In un sol colpo avevo tra le mani una sceneggiatura perfetta. Veramente brillante. Non vedevo alcuna ragione di metterci le mani, come se avessi avuto voglia di impadronirmi della sceneggiatura, di farne una cosa mia. No, era perfetta. Non avevo che un obiettivo, trasformarla nel miglior film possibile, girarla al meglio del meglio, di modo che Rémi Waterhouse fosse incantato del risultato e non si sentisse defraudato.

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