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Kim Rossi Stuart • Regista

"Ho cercato la massima autenticità "

di 

- Incontro con un attore che si è rivelato regista esplorando l’infanzia e la complessità umana con un realismo senza trucchi

A 36 anni, l'attore italiano Kim Rossi Stuart, recentemente protagonista de Le chiavi di casa [+leggi anche:
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. Incontro ottobrino a Parigi nel quale il neo-regista, arrivato per supervisionare il doppiaggio del suo film, dimostra che il carisma dell’attore maschera in realtà una profondità che trova un nuovo campo di esplorazione nella regia.

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Cineuropa : Quando ha deciso di passare dietro la macchina da presa?
Kim Rossi Stuart: Quando avevo tra i 17 e i 20 anni, ho scritto una sceneggiatura, ma non sono riuscito a farne un film. Ero interessato anche alla recitazione, e questo mi ha permesso di studiare il modo di lavorare con i registi. Essere diventato famoso in Italia mi ha aiutato, oggi, a finanziare Anche libero va bene, ma all’inizio non volevo recitare nel film. Dopo la defezione di un attore, mi sono trovato costretto a farlo. Due settimane prima dell’inizio delle riprese, la produzione mi ha detto: o reciti o salta tutto. E quindi... è un bel ruolo, ma sinceramente avrei preferito un’esperienza di pura regia.

Perché ha scelto il tema dell’infanzia?
A quell’età accadono eventi che segnano tutta la vita. E si tratta forse del momento più importante dell’esistenza. Da questo punto di vista, il tema mi sembrava universale. La storia è nata tre anni prima della sua realizzazione, e ho volutamente lavorato moltissimo assieme ai miei co-sceneggiatori perché ho visto sin troppo spesso film che arrivano alle riprese con sceneggiature poco approfondite. Nella scrittura, abbiamo provato a restituire personalità complesse, reali e per questo contraddittorie, senza buoni o cattivi, anche se gli adulti si rivelano spesso egoisti. Ho voluto raccontare la storia di un disagio, di un bambino che vive un’infanzia che non conosce la freschezza dell’incoscienza, ma è fatta anzi di solitudine e sofferenza. Ho cercato però di evitare un punto di vista unilaterale, spingendo la prima metà del film quasi verso la commedia.

Il realismo estremo di Anche libero va bene nasconde una grande violenza psicologica. Aveva un’idea precisa su questo argomento?
Mi sono reso conto solo a posteriori del vero livello di violenza psicologica che esiste nelle relazioni tra bambini e adulti, anche se in parte ne ero già cosciente in fase di scrittura. Questa verità è un codice che ho seguito nella sceneggiatura, prima per gusto personale, poi perché ho pensato che, per realizzare un film con dei bambini, e se lo si vuol rendere sincero e non patinato, si può soltanto perseguire la verità assoluta. La vita di Tommy non è triste, ma dura, perché ci sono dei sentimenti tra i membri della sua famiglia. Questa è la ragione per cui ho scelto Barbora Bobulova nel ruolo della madre, un personaggio che aveva bisogno di una certa purezza, di esprimere delle problematiche complesse, come fuggire, avere paura che la propria vita non sia lì, ma forse altrove, e quindi scappare, con le proprie nevrosi.

Sono pochi i movimenti di macchina in Anche libero va bene...
Volevo che la macchina da presa si muovesse soltanto in funzione dei movimenti interiori dei personaggi, dei loro animi. E desideravo restare il più possibile vicino ad una ‘visione umana’, mettendo lo spettatore nella posizione di chi spia la realtà. Per quel che riguarda il suono, i tecnici erano spaventati, perché giravamo in situazioni reali con i rumori della strada. Questo avrebbe potuto costituire un problema, ma nel mixaggio mi è piaciuto poter sentire questo mondo in movimento, la vita che continua anche mentre i personaggi vivono situazioni molto gravi, e ho preferito non filtrare questi suoni. C’è anche poca musica.

Chi l’ha influenzata di più nel suo lavoro di regista?
Non sono un grande cinefilo, e non voglio condizionarmi vedendo troppi film. Ho l’ambizione di creare qualcosa di unico, che non significa bello o brutto, ma personale. Ciò nonostante amo molto Paul Thomas Anderson, Pasolini, Cassavetes, Bergman, Truffaut, De Sica, Kieslowski, Téchiné... Trovo più difficile amare il cinema americano, ma quando mi piace è perché è straordinario. In generale, preferisco quello europeo, in special modo quello francese, perché è quello che tende di più verso l’introspezione.

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