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Sonja Heiss • Regista

Hotel Very Welcome

di 

Nata nel 1976, Sonja Heiss ha studiato alla scuola di cinema HFF di Monaco prima di fare esperienza nel campo pubblicitario. Il suo primo film Hotel Very Welcome ha vinto quest’anno il premio "Dialogue en perspective" alla Berlinale. Heiss risponde amabilmente alle domande di Cineuropa, alcuni giorni prima della proiezione del film al festival Karlovy Vary.

Cineuropa: Il tuo primo film è, in tutti i sensi, un vero viaggio di iniziazione. Come mai hai iniziato con un progetto così audace per il tuo film di debutto?
Sonja Heiss: Viaggiare per anni con lo zaino in spalla attraverso l’Asia ti porta a chiederti cosa vuol dire viaggiare. Viaggiare è allo stesso tempo una ricerca, un’esperienza potenzialmente comica e un tentativo spesso disperato di essere felice lontano da casa.
E’ stato interessante indagare sui modi in cui persone diverse vengono influenzate da ambienti sconosciuti, sul modo in cui lottano con le loro emozioni, e fino a che punto le culture possono realmente scambiarsi.
Anche il perdere e il sentirsi persi sono stati temi importanti per me. Il viaggiare può far sentire soli, così ci sono molti momenti in cui i viaggi diventano dei percorsi di scoperta di sé stessi.
Un altro aspetto è stato il potenziale comico della storia. Volevo rappresentare il viaggio in maniera realistica (concentrandomi su piccole catastrofi, assurdità, e fraintendimenti) con autoironia. Questo demistifica l’immagine dei viaggiatori zaino in spalla come grandi avventurieri.

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Scrivere la sceneggiatura deve essere stato un lungo work in progress. Puoi descriverlo? E’ importante per te anche scrivere i tuoi film?
Quando abbiamo iniziato il nostro viaggio avevamo una sceneggiatura di circa 30 pagine e molte scene e idee in mente. I personaggi e i loro conflitti era già completamente sviluppati, ma una volta in Asia, abbiamo scoperto che molte cose non avrebbero funzionato, molte cose inaspettate (positive o negative) continuavano a succedere e non conoscevamo il cast locale, così abbiamo dovuto continuare a scrivere durante l’intero viaggio, in parte in collaborazione con gli attori.
Molto poco del dialogo era stato scritto; gli attori hanno dovuto improvvisare molto per raggiungere una recitazione estremamente realistica. Con un genere ibrido come questo, la spontaneità è uno strumento importante. Per le scene con i dialoghi ho dato loro del materiale che includeva parti che gli altri non sempre conoscevano. Abbiamo provato ad ottenere un buon equilibrio di finzione e realtà.
Finora sono felice di scrivere i miei film; questi, infatti, rispecchiano esattamente la mia visione, ma mi piacerebbe dirigere un film scritto da qualcun altro. Sono attratta da nuovi approcci.

Cosa hai imparato da questa prima esperienza nel dirigere un film?
Avevo fatto altri film prima, ma un lungometraggio è qualcosa di completamente diverso. Ho imparato molto su quanto sia complesso utilizzare l’umorismo, sulla drammaturgia e sulla mia personale pazienza.
Fare un film del genere era qualcosa di totalmente nuovo per me – nessuno avrebbe potuto darmi dei consigli prima e non c’era nessun film preesistente da studiare – così ho imparato molto mentre filmavo, ma anche durante il montaggio. All’inizio pensavo che il film sarebbe andato a scontrarsi contro le “classiche” forme drammaturgiche, ma ho capito che aveva bisogno proprio di quelle. Abbiamo lottato durante il montaggio per conservare l’umorismo sotteso; talvolta quando cambi una scena, tutto cambia, come un effetto domino.

Come definiresti in generale l’orientamento alle spalle del tuo lavoro?
Non posso veramente parlare di orientamento, fino ad adesso è stato qualcosa di abbastanza personale, ma posso dire che è sempre qualcosa di fortemente legato alla realtà e per nulla conservatore.

Come ti senti ad essere stata selezionata da Variety per Karlovy Vary?
E’ un grande onore essere uno dei soli dieci selezionati. Sono così felice che il mio film venga considerato internazionale. Ho sentito molte cose positive su Karlovy Vary così non vedo l’ora di partecipare.

Tradotto da Gianluca De Falco

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