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FILM / RECENSIONI

Police, Adjective

di 

- Vincitore a Cannes del Premio della Giuria nella selezione Un Certain Regard, il secondo film di Corneliu Porumboiu conferma il talento originale del giovane regista romeno

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dimostra ancora una volta il diverso approccio al racconto e lo stile assurdo e caustico di cui aveva dato prova Corneliu Porumboiu in A Est di Bucarest [+leggi anche:
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, che gli era valso la Caméra d’Or.

Questo suo secondo film dimostra che il regista è cresciuto e ha capito che per questa storia andava accentuata la tristezza e il vuoto della sua città natale, Vaslui (che già faceva da cornice a A Est di Bucarest), e che andavano incluse lunghe sequenze in cui non succede nulla, ma che sono fondamentali per l'impatto generale del film.

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I primi trenta minuti del racconto si basano su un raffinato gioco di specchi: il protagonista, Cristi (Dragos Bucur, Boogie [+leggi anche:
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), modesto agente di polizia di Vaslui, pedina un giovane del posto che non ha l'aria di complottare granché (ma Cristi sembra particolarmente intrigato da una cicca da lui gettata per terra), e la cinepresa di Poromboiu obbliga lo spettatore a seguire il poliziotto alla ricerca di indizi e a mettersi lui stesso a caccia di indizi sul senso del film e sul senso delle piste che segue Cristi.

Nel corso del film, diventa paradossalmente evidente che questa ricerca di senso non è il mezzo per arrivare a qualcosa, bensì il vero soggetto del film. Emblematica, a proposito del senso e della sua percezione, è un'audace inquadratura di dieci minuti che comincia con Cristi che sta in cucina mentre la moglie ascolta annoiata uno schlager romeno su YouTube. Cristi dice allora di non comprendere quello che vuol dire la canzone e la moglie, che sembra ossessionata da questa musica, ne propone una spiegazione tanto appassionata quanto illogica.

Porumboiu porta il racconto di questa piccola inchiesta su un reato minore (consumo e spaccio di marijuana) a una conclusione assurda, che si impone in un altro audace piano-sequenza. Qui si assiste a un gioco a nascondino semantico in cui l'ispettore di polizia titolare dell'inchiesta si confronta con il suo capo (Vlad Ivanov, 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni [+leggi anche:
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).

Il tutto occupa venti minuti, in due piano-sequenza interrotti da un breve taglio. Una nuova dimostrazione non solo del talento di Porumboiu come regista, ma anche del talento degli attori (molti dei quali vengono dal teatro e sono dunque abituati a tenere la parte a lungo) e soprattutto l'occhio e l'orecchio infallibili di Porumboiu per il modo in cui la gente manipola il linguaggio e il senso delle cose per raggiungere i propri scopi.

Come nel suo primo film, la conversazione verte sulla definizione dei concetti e sulle loro implicazioni, specialmente politiche. Per Cristi, il senso e l'interpretazione delle parole sono tanto più importanti visto che di mestiere fa il poliziotto. Viene esplorata inoltre la necessità di motivare con precisione i propri atti attraverso la parola.

Una coda finale breve e sorprendente conclude il film mostrando un'applicazione pratica, da parte del protagonista, del concetto della riduzione all'assurdo, che fa di Porumboiu uno dei più brillanti registi del momento in Romania e in Europa.

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(Tradotto dall'inglese)

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