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FILM / RECENSIONI

También la lluvia

di 

- Un film appassionante che denuncia la guerra dell'acqua in Bolivia nel 2000 raccontando allo stesso tempo la lavorazione di un film su Cristoforo Colombo e la conquista dell'America

Una produzione cinematografica in mezzo alla selva tropicale: si narra l'arrivo di Colombo in America e la sua sete d'oro, così come il suo conflitto con i religiosi che proteggono gli indigeni. Questi ultimi sono impersonati da attori locali, che a loro volta rivivranno, lontano dalle luci e dal trucco, una nuova invasione: quella dei politici e delle multinazionali che intendono privatizzare un bene basilare e indispensabile: l'acqua. Così, la realtà contagia la finzione e altera il ritmo delle riprese, mentre i parallelismi tra passato (coloniale) e presente (colonizzato) si fanno evidenti. Tutto si mischia, si confonde, si modifica in funzione di alcuni fatti che non figuravano nella sceneggiatura e che il dipartimento di produzione non può pianificare, e nemmeno immaginare. Mentre parte della troupe gira il making of, assistiamo a tre pellicole in una volta: quella della conquista dell'America che stanno ricostruendo, quella delle rivolte sociali che percorrono il paese dove la squadra tecnico-artistica è al lavoro, e il documentario che racconta le complicazioni, gli sforzi e le difficoltà di un progetto artistico fatalmente impregnato di realtà.

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Paul Laverty, fedele sceneggiatore di Ken Loach, ha scritto una magnifica sceneggiatura che denuncia gli abusi di potere, l'invasione e il mercantilismo brutale contemporaneo senza dimenticare i personaggi, che conosce molto bene perché fanno parte del suo ambito professionale: il cinema. Così, abbiamo un produttore disposto a tutto pur di evitare che si fermino le riprese (stupendo, come sempre, Luis Tosar), un regista idealista, insensibile e debole (il messicano Gael García Bernal) e un attore veterano, solitario e indietro in tutto (un geniale Karra Elejalde), oltre ad assistenti, attori giovani – presumibilmente consapevoli – e i loro tanti difetti, vizi, bugie e conflitti.

A questo argomento appassionante, intelligente e di denuncia si aggiunge una non meno accurata regia di Icíar Bollain, vicepresidente dell'Accademia di Cinema Spagnolo e partner di Laverty, che con la sua quinta pellicola da regista, dopo successi come Te doy mis ojos [+leggi anche:
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, rappresenta la Spagna nella corsa alle nomination del Miglior film in lingua non inglese ai prossimi Oscar.

Il risultato merita tale menzione giacché il film, sulla scia di Costa-Gavras, Herzog e Truffaut, offre un messaggio politico mentre esamina le difficoltà del cinema (e le sue miserie) in scenari selvatici, mettendo il dito nella piaga storica: la conquista del Nuovo Mondo non fu l'impresa eroica che i libri scolastici spagnoli raccontano e, per di più, tale invasione e abuso si ripete ciclicamente e in altri ambiti, non solo materiali.

Per i cinefili, il film possiede un valore in più: mostra che la settima arte è un'industria in cui girano soldi, pertanto bisogna essere calcolatori e strateghi, ma allo stesso tempo un po' incoscienti, romantici, idealisti e sognatori per impegnarsi con tutta l'anima in tale impresa. Per questo si riescono a tirar fuori (ma anche no) grandi pellicole, come mostrano documentari come Lost in La Mancha – sulle riprese maledette e donchisciottesche di Terry Gilliam in Spagna, impregnato di realtà sabotatrice – o la lungimirante metanarrativa di También la lluvia.

Coprodotto con il Messico e la Francia, il film conferma il buon momento di Morena Films, compagnia che ha sbancato il botteghino – e gli ultimi premi Goya – con Cella 211 [+leggi anche:
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e che sicuramente replicherà con También la lluvia [+leggi anche:
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, mostrato ai festival di Valladolid, Cuenca e Ronda, prima della sua uscita nelle sale.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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