email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

VENEZIA 2011 Fuori Concorso

La Désintégration, una metafora del terrorismo

di 

Presentato Fuori Concorso alla 68° Mostra di Venezia , La Désintégration [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
racconta la ghettizzazione di due ragazzi francesi che vengono da un quartiere di immigrati e ne hanno ereditato la discriminazione, insieme a un nome straniero e un bagaglio genetico. È questo un tema che affascina il regista e sceneggiatore Philippe Faucon, che lo aveva già affrontato in altre prove (Samia, Being Seventeen, The Betrayal [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
).

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)
Hot docs EFP inside

Nella periferia di Lille, tre fratelli marocchini si scontrano con la difficile integrazione in una società che non è pensata per loro. Uno di loro vorrebbe sposare una donna francese, mentre gli altri due incontrano degli ostacoli che li portano ad avvicinare Djamel, carismatico difensore del Corano che predica scaltramente il ritorno al fondamentalismo islamico. Da manipolatore, Djamel sfrutta la debolezza delle sue prede per spingerle verso il terrorismo armato, che è per lui l’unico strumento di difesa contro una società che rifiuta di fare loro spazio e ha preferito allontanarsi da Dio...

In La Désintégration, Faucon ha creato un racconto di fiction che racconta lo spinoso, ma soprattutto abusato tema del terrorismo senza scivolare in un semplicistico manicheismo. L’intento è lodevole, ma non riesce a materializzarsi sul grande schermo. Il regista immagina la cornice di una finestra aperta sulla difficile integrazione nord-africana nella Francia di oggi. Aperta, senza filtri, l’immagine salta fuori dalla macchina da presa priva di orpelli, come se gli anche minimi aspetti artistici ne potessero tradire l’autenticità riducendone la solennità. Tra le difficoltà di trovare un lavoro, il razzismo e la stigmatizzazione del resto, la storia si sposta rapidamente dalla causa all’effetto, ovvero la disintegrazione, in senso letterale e figurato per sottolineare una metafora specifica tra le tante del film. “Chi imita un popolo gli appartiene”, predica Djamel per trasformare la rabbia dei fedeli contro la società in un dovere per la marginalizzazione. Ed è un tipo di messaggio che fa riflettere.

Per non stigmatizzare la religione, ma solo la sua distorsione, il regista torna alla dottrina della madre, immigrata di prima generazione che ridefinisce di continuo le sue buone pratiche del Corano in contrasto con il lavaggio del cervello dei suoi due figli. Per lei, si tratta di parlare di Islam senza odio, ma rispettandone i principi. Non ha avviato quel processo di disintegrazione che colpisce i figli. È a metà scala, ferma. In cima, la figlia, che si considera francese ed è integrata al punto di fingere di non capire la lingua dei genitori. “Devi impararla”, dice la madre esasperata ma realista. In famiglia, un altro figlio ha iniziato il processo di integrazione con il fidanzamento con una ragazza francese. Ma la caduta è rapida, e così vanno le cose fino al momento del reclutamento della Jihad.

“Solo gli empi hanno paura della morte, perché perderanno la loro vita, perderanno tutto”. Ci si chiede se sia questo il tipo di discorso che ha portato alla tragedia dell’11 settembre 2001. Faucon sembra pensarla così quando racconta la storia di un gruppo di martiri nella sua versione dell’attacco terrorista contro il World Trade Center, qui sostituito dal quartier generale della NATO a Bruxelles. Due aerei con kamikaze a bordo, due autobomba e una terza che si conclude in tentativo fallito. Sarebbe troppo facile negare l’ovvio paragone.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy