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CANNES 2012 Concorso

Chi è il bianco e chi è il nero in Paradise: Love?

di 

- Il regista austriaco Ulrich Seidl torna nella competizione ufficiale del Festival di Cannes con una storia sul turismo sessuale cinque anni dopo avervi presentato il suo già radicale Import/Export

Membro ormai della famiglia cannense, il regista austriaco Ulrich Seidl torna nella competizione ufficiale cinque anni dopo avervi presentato il suo già radicale Import/Export [+leggi anche:
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. Il tempo che è trascorso tra il suo film precedente e questo, Seidl lo ha impiegato a girare non un film, bensì tre a partire da Paradise: Love [+leggi anche:
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, che rappresenta il primo capitolo di una trilogia — a seguire, Paradise: Faith e Paradise: Hope — che ritrae il percorso di tre donne di una stessa famiglia, alla ricerca forsennata di una felicità da trovarsi altrove.

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Teresa è un'austriaca cinquantenne e corpulenta. In vacanza, si comporta come una "sugar mama", come quelle europee che si avvalgono sulle spiagge del Kenya dei servizi dei giovani maschi locali, pronti a qualsiasi forma di prostituzione per un po' di soldi. Teresa cerca l'amore, ma riceve una delusione dopo l'altra mano a mano che incontra questi "beachboys". Lei usa questi uomini che la usano a loro volta, ma siamo lontani da uno scambio di favori. Molto presto, è di abuso reciproco che si tratta e Seidl sa mostrare questi eccessi in tutta la loro volgarità patetica come se fosse un documentario. Una volta persa di vista la nozione del rispetto dell'altro, non c'è più distinzione tra chi è bianco e chi è nero e il paradiso si allontana sempre più, come le nozioni che gli sono spesso associate: felicità, libertà, amore, sesso...

In Paradise: Love, gli attori professionisti affiancano i non professionisti per un maggior realismo, ma il film sfiora spesso l'ambiguità, soprattutto riguardo al suo messaggio. Filmando in modo crudo un vero beachboy utilizzato da alcune attrici in una lunga scena di compleanno, alcuni potrebbero rimproverare al regista una certa forma di abuso, quello stesso eccesso che la morale gli imporrebbe di denunciare in modo più chiaro. Ma Seidl non è di questo avviso: "In Kenya, che tu lo voglia o no, è tutto una questione di denaro. Un europeo bianco è considerato come una persona che ha i soldi e lo si tratta di conseguenza". Spesso il punto di vista dell'autore resta da un lato soltanto della corda che separa i turisti dagli indigeni sulle spiagge kenyane del film. Questa è probabilmente una forma di denuncia in sé: la denuncia della visione semplicistica del turista. "Là l’Europa, qui l’Africa" sottolinea un africano dall'altra parte della corda. E quando si penetra nel quotidiano di questi gigolò improvvisati, le loro truffe, e solo quelle, vengono mostrate allo spettatore.

Contrariamente a Laurent Cantet che affrontava lo stesso soggetto in Verso il Sud [+leggi anche:
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, Ulrich Seidl si concede momenti di pura commedia: situazioni divertenti, ma anche dialoghi dall'umorismo cinico o razzista che lo aiutano a definire i suoi personaggi femminili. I dialoghi sono per la maggior parte improvvisati affinché lo spettatore non distingua l'attore dal non professionista. Queste scene alimentano un film crudo che cattura fisici femminili ingrati e corpi maschili scultorei in inquadrature senza compromessi, talvolta oscene. Per molti versi, il metodo di Seidl è vicino a un Dogma in versione austriaca, in cui le riprese di finzione somigliano a un documentario. Ma non si potrà veramente giudicare l'intenzione del regista se non a trilogia finita.

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(Tradotto dal francese)

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