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VENEZIA 2012 Fuori concorso

"Lo sbarco dei ventimila" in La nave dolce di Daniele Vicari

di 

- Il documentario dell’autore di Diaz, presentato fuori concorso alla 69ma Mostra di Venezia, rievoca l'epico sbarco di albanesi sulle coste italiane nel 1991

Quando in un'afosa mattinata d'agosto del 1991 il Vlora, vecchio mercantile proveniente dall'Albania, attraccò al porto di Bari, la marea umana che vi viaggiava sopra cominciò a inneggiare: "Italia, Italia!". C'era chi sorrideva, chi agitava le braccia, chi faceva il segno della vittoria. "Pensai: ma che cosa hanno vinto? Forse hanno vinto il viaggio di ritorno". In questa frase amara, pronunciata da un ispettore di polizia che all'epoca seguì le operazioni di rimpatrio, sta una sintesi efficace di La nave dolce [+leggi anche:
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di Daniele Vicari, impressionante documentario che rievoca, attraverso straordinarie immagini di repertorio, il più colossale sbarco di albanesi sulle coste italiane della storia, presentato fuori concorso alla 69ma Mostra di Venezia. Ma quello del Vlora, che traghettò verso l'Italia 20mila albanesi con il loro carico di speranze, fu anche il primo grande respingimento di massa del nostro paese.

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Una vita migliore: questo rappresentava il Belpaese per gli albanesi stipati sul Vlora. "Guardavamo la tv italiana", racconta Robert Budina, allora studente dell'Accademia delle Arti di Tirana, "era come una finestra da dove guardavamo per guadagnare la nostra libertà". La sua testimonianza si intreccia con quella di uomini e donne che erano su quella stessa nave della speranza, delusi dal nuovo corso politico dopo la caduta del regime comunista e in cerca di opportunità. Tra questi, Kledi Kadiu, ballerino oggi noto al pubblico televisivo italiano, che come tanti altri partì, all'epoca 17enne, senza sapere a cosa andava incontro. "Ero in spiaggia con amici, girò voce che il porto di Durazzo era aperto, seguii la folla".

Chi pensa che al bordo del Vlora ci fossero solo disperati, si sbaglia: Eva Karafili, laureata in Economia, aveva un lavoro, eppure la vita in Albania le stava stretta. In una nave già affollata fino all'inverosimile, le vie d'accesso cominciavano a mancare. "Mio marito mi disse: 'Te la senti di salire dalle cime d'ormeggio?' Dissi di sì". E così, il Vlora, che proveniente da Cuba trasportava quintali di zucchero (da qui il titolo), diresse la sua prua - il comandante minacciato con un cacciavite - verso l'Italia.

Il viaggio, l'uno sull'altro, senza cibo né acqua, non piegò la determinazione di questa gente. Arrivati a Bari, si sentivano degli eroi. Molti si tuffarono in mare una volta in porto. Sulla banchina, si formò presto un enorme tappeto umano. C'è chi riuscì a scappare (si calcola che in circa 1.500 rimasero in Italia), la maggior parte venne portata e trattenuta nello stadio di Bari per poi essere rimpatriata. Il documentario non tralascia di ricordare il conflitto che oppose l'allora sindaco di Bari, Enrico Dalfino, che voleva allestire una tendopoli per accogliere i profughi, con il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga: la linea del governo era rimandare tutti a casa.

A colpire è l'allegria con cui i protagonisti di questa storia rievocano la loro avventura, come un colpo di follia collettivo. Tutti i testimoni parlano su uno sfondo bianco, "che accompagna in modo unitario e solare il loro sguardo di speranza", spiega il direttore della fotografia Gherardo Gossi, fedele collaboratore di Vicari. Anche le note incisive e drammatiche di Teho Teardo tornano ad accompagnare il lavoro del regista (erano sue le belle musiche di Diaz [+leggi anche:
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). Un evento epocale ricostruito con rigore e attraverso immagini da girone dantesco che lasciano lo spettatore a bocca aperta: incredibile che sia successo davvero.

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