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CANNES 2013 Settimana della Critica / Regno Unito

Il superstite: immersione nel limbo

di 

- Paul Wright firma un'opera prima molto inventiva dal punto di vista formale su una discesa negli abissi della sofferenza psicologica

"Un giorno, il diavolo dell'oceano ha maledetto la città e tutti i suoi abitanti. Tutti avevano paura e tutti erano tristi. Sembrava che le tenebre dovessero regnare per sempre. La gente sapeva che bisognava catturare il diavolo affinché tutto tornasse come prima". Aprendo il suo primo lungometraggio, Il superstite [+leggi anche:
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(For Those In Peril), presentato in concorso alla Settimana della Critica del 66mo Festival di Cannes, con queste parole sussurrate e con immagini di onde che si infrangono sugli scogli, l'inglese Paul Wright non nasconde il carattere drammatico del racconto che seguirà.

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Centrato su un uomo spostato di natura, uno stato aggravato dal suo statuto di unico sopravvissuto da un naufragio fatale che ha traumatizzato un villaggio di pescatori scozzese, il film descrive una vertiginosa immersione nelle grandi profondità della follia. Disperato per aver perso suo fratello maggiore (che era anche il suo protettore) negli abissi del mare e accarezzando il dolce sogno di ritrovarlo per miracolo, il protagonista, Aaron (un ammirevole e onnipresente George MacKay), diventa poco a poco il capro espiatorio della catastrofe agli occhi della comunità ("perché è sopravvissuto e gli altri no?", "vorremmo riprendere le nostre vite, ma ogni volta che lo vediamo torniamo indietro").

La stranezza della sua personalità ("sembra che sia in un mondo a parte, non è mai cresciuto", "non solo sei pazzo, ma vivi anche su un altro pianeta") e il suo mutismo intorno alle circostanze del dramma alimentano rancori e sospetti ("tu non avevi posto sulla barca", "alcuni dicono che volessi sbarazzarti di tuo fratello "). Un'atmosfera pesante che isola Aaron ancora di più. L'odio ("Jonas bastardo, non avresti dovuto tornare") e la paura degli abitanti si cristallizzano quando il suo dolore lacerante non trova altra via di fuga se non quella di concretizzarsi nell'intenzione assurda che gli detta la sua voce interiore: ritrovare il mostro dell'oceano (quello della fiaba che gli raccontava sua madre da bambino), convinto che sia lui ad aver rapito suo fratello, liberare i dispersi e riportare tutto come prima… Un progetto "stupido" dal quale non riusciranno a distoglierlo le uniche due persone che gli dimostrano affetto, sua madre (Kate Dickie) e l'ex compagna del fratello (Nichola Burley).

Il tema della follia non è nuovo al cinema, ma Paul Wright riesce ad affrontarlo in maniera originale e a restituirne la dimensione caotica in modo molto convincente grazie al miscuglio di immagini provenienti da fonti diverse: camera a spalla e grana grossa per seguire Aaron nelle sue deambulazioni solitarie, reportage TV che racconta il dramma, archivi video di famiglia sull'infanzia di Aaron e di suo fratello, riprese da telefoni cellulari, flashback quasi allucinatori su episodi dolorosi della vita passata di Aaron con gli altri giovani del villaggio, ecc.

Questo patchwork visivo montato con molto brio dal duo danese Michael Aglund - Anders Refn (Breaking the WavesAntichrist [+leggi anche:
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) e rafforzato dall'iniezione di un gran numero di voci off che emergono talvolta sfasate rispetto alle immagini, illustra perfettamente la confusione mentale che si impadronisce sempre più di Aaron. Come confinato nel suo limbo, tra il mondo dei morti che lo chiama in modo irresistibile e quello dei vivi che lo rifiuta, il giovane uomo ci trasporta nel cuore delle sue tenebre interiori. Un'avvincente immersione nella psiche che fa di Il superstite un'opera prima cupa e intrigante, che ben padroneggia le sue ambizioni "sperimentali".  

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(Tradotto dal francese)

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