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BRUSSELS FILM FESTIVAL 2013

Baby Blues, ritratto spietato della gioventù polacca

di 

- Con il suo secondo film, Kasia Roslaniec torna a interrogarsi sulla mercificazione dei corpi e sulla deriva consumistica di una gioventù polacca disorientata

Natalia ha 17 anni, una passione per la moda, le uscite e i ragazzi. Natalia ha 17 anni ed è un'adolescente come tante altre, tranne che per un dettaglio: Antek. Antek ha un grande senso dello stile, un bel guardaroba e uno sguardo arguto. Ha solo sette mesi, una giovane età, ma un'esperienza consolidata in shopping, flash e uscite tra amiche. Antek è il figlio che Natalia ha avuto per un colpo di testa, per colmare il vuoto di un amore materno sfuggente, poi assente.

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, presentato in competizione all'11mo Brussels Film Festival, comincia con una banale scena da teen movie tra due adolescenti in perfetto stile. Il loro flirt si chiude bruscamente quando Natalia accusa Kuba di vedersi con un'altra ragazza. Kuba si è fatto tradire dal suo telefono, su cui compare un messaggio sospetto: difficile flirtare in pace in epoca di telefoni cellulari. Kuba non ha scelto di avere Antek, per lui è stato un incidente, ma alla fine ha accettato il bambino, senza pertanto addossarsi le responsabilità che questo comporta. Neanche Natalia vuole farsi schiacciare dalle sue responsabilità di genitore. Ma quando sua madre l'abbandona con suo figlio nell'appartamento di famiglia, con il falso pretesto di un'occasione professionale imperdibile, Natalia si ritrova con le spalle al muro.

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In un primo tempo, Kuba tenta in qualche modo di assisterla, tra due petardi e un'uscita in skate, ma presto i suoi genitori mettono fine a questo impegno, incitandolo a privilegiare I suoi studi. Natalia si rivolge così alle persone sbagliate, pensando di trovare alleati per guadagnare un po' di soldi e crescere suo figlio. Senza sorpresa, Natalia inanella una scelta sbagliata dopo l'altra, fino alla scelta più sbagliata di tutte. Tra incoscienza, superficialità e paradisi artificiali, trascina suo figlio nel baratro. Mentre lei lo aveva desiderato per dimostrare di poter essere una madre migliore della sua, Antek si rivela un giocattolo ingombrante, di cui ci si stanca più rapidamente che di un nuovo smartphone.

Kasia Roslaniec traccia il ritratto di una gioventù polacca perduta, in piena deriva consumistica. Ad anni luce dagli edifici grigi in cui sono cresciuti, i personaggi si lasciano ammaliare dai colori sgargianti dei negozi di tendenza, dalla notorietà, dai bassi saturi emessi dai loro dj preferiti. Roslaniec continua con Baby Blues sulla strada intrapresa con Mall Girls [+leggi anche:
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, ritratto disincantato di giovani polacche che vendono il loro corpo per riempirsi le tasche e battere i corridoi dei centri commerciali di Varsavia. La mercificazione del corpo la ritroviamo in Baby Blues, in cui il bambino diventa un bene di consumo (quasi) come un altro, accessorio, o meglio, icona di moda.

La morale della storia è senza concessioni, e finisce per completare il lavoro di demolizione della regista sul suo personaggio principale, per il quale nessuna redenzione è possibile. Baby Blues lascia poca speranza e un sapore amaro in bocca, come una versione da incubo di un episodio di Gossip Girl trasposto in una Polonia appariscente ma senza un soldo. Come Mall Girls, Baby Blues ha saputo toccare un nervo scoperto del pubblico polacco, giacché ha attirato oltre 400mila spettatori. Il film ha anche ottenuto l’Orso d'argento a Berlino della competizione Generation 14plus. 

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(Tradotto dal francese)

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