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INDUSTRIA Italia

Rapporto FEdS 2014: un anno di transizione

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- La settima edizione dell'analisi rivela punti di forza e di debolezza: box office in flessione, un record storico di 201 film prodotti a fronte di una costante riduzione degli investimenti medi

Rapporto FEdS 2014: un anno di transizione

2014, anno controverso per l'industria del cinema, che ha intravisto i primi segnali di ripresa nei perduranti effetti della crisi economica. A fare le spese della crisi sono soprattutto il box office, in flessione non solo nelle piccole sale, e gli investimenti. Un anno di transizione quindi, come rivela la capillare radiografia del Rapporto 2014 sul Mercato e l’Industria del Cinema in Italia, presentato oggi presso la sede del Centro Sperimentale di Cinematografia dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Direzione Generale Cinema del MiBACT.

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Al quinto consecutivo anno di crescita, il comparto ha riportato l’Italia nella “top ten” dell’industria cinematografica mondiale, con il record storico di 201 film di nazionalità italiana (34 in più del 2013). L’Italia ha superato la Gran Bretagna ed è ora decima, alle spalle del Giappone. Con 194 titoli ha anche scalato per la prima volta negli anni Duemila la “top ten” europea dei film 100% domestici, conquistando il primo posto davanti agli altri quattro grandi Paesi produttori dell’Unione europea e dello stesso continente: Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna.

Di fronte a questo aumento del numero di film prodotti, si registra una preoccupante diminuzione delle co-produzioni internazionali e la costante riduzione degli investimenti medi. L’ultima stagione ha visto la discesa del flusso di capitali a 323,4 milioni di euro, con una variazione sul 2009 equivalente a -26,41%.  

Le altre cinematografie europee di riferimento non hanno peraltro registrato picchi di produzione. In Francia la provvista globale dopo quattro regressi consecutivi è retrocessa per la prima volta dopo vent'anni sotto la soglia di 1 miliardo di euro. (leggi articolo). In Inghilterra l’approvvigionamento finanziario, dopo un biennio di risalita, ha toccato il vertice assoluto di 1,47 miliardi di sterline, (2,012 miliardi di euro) - nel 2013 era stato di soli 1,49 miliardi di euro - , al servizio di una produzione limitata a 223 titoli (minimo storico dal 1994 in poi): 100 in meno dei dodici mesi precedenti e 150 in meno di cinque anni prima. In Spagna la produzione ha subìto un brusco passaggio a vuoto, con soli 26 lungometraggi realizzati rispetto ai 76 del 2013 e un crollo degli investimenti nazionali pari al 50%, compensato in parte dalla crescita esponenziale delle co-produzioni, diventate 100 dalle 68 di dodici mesi prima.

Funzione decisiva e oggi essenziale nel cinema europeo, è quella della leva finanziaria del tax credit (su cui ad esempio Francia e Gran Bretagna sono nuovamente intervenute di recente per rafforzarne ulteriormente l’influenza). È l’adozione di questa forma di supporto indiretto ad aver reso ancora sostenibile il livello – seppur discendente negli ultimi tre anni – del fabbisogno finanziario del cinema italiano, fino a procurargli nel 2014 più di 64 milioni di euro al servizio della realizzazione di nuovi progetti, agevolando il conferimento di 32 milioni da parte delle imprese di produzione e le iniziative di investitori che operano all’esterno del comparto. 

Nell’analisi del flusso di risorse e del ciclo degli investimenti emerge quale effetto combinato – fra l’aumento della produzione e il contestuale fabbisogno di capitali al suo servizio – il frazionamento del valore per unità di prodotto. Sotto questo profilo il cinema italiano ha accusato nel 2014 una fase di profonda involuzione, come dimostrano le medie generali dei costi a film.

La sovra-produzione di opere si è riflessa sulla loro caratura. Quelle realizzate con costi industriali inferiori a 200mila euro hanno stabilito un primato sia per numero, arrivato a 69, sia per incidenza (35,56%) sul totale dei film d’iniziativa nazionale. Soltanto 25 sono state invece realizzate con budget superiori a 3,5 milioni di euro, in quella che può essere considerata la business class del film italiano, che ne difende il benchmark più rappresentativo in termini di qualità, di successo al box office e di competitività sul piano internazionale.

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