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BERLINALE 2017 Panorama Special

Tiger Girl: la violenza che nasce dal vuoto

di 

- BERLINO 2017: Jakob Lass ha entusiasmato il pubblico berlinese con un film pieno di scene di lotta, momenti spettacolari e una patetica eroina bionda attratta dall’uniforme

Tiger Girl: la violenza che nasce dal vuoto
Ella Rumpf in Tiger Girl

Mentre uno dei gioielli del 2016, lo straordinario Grave [+leggi anche:
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, si appresta a uscire in Francia, la sua attrice più bad ass, Ella Rumpf, campeggia sui manifesti di Berlino in occasione dell’anteprima di Tiger Girl [+leggi anche:
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del tedesco Jakob Lass (l’autore di Love Steaks [+leggi anche:
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, Premio Max Ophüls 2014), in programma al festival degli Orsi nella sezione Panorama Special (e in uscita in Germania il 6 aprile prossimo con Constantin). La ragazza del titolo, e della foto, è lei. Al contempo ninja, vendicatrice samurai armata di mazza da baseball e anche personaggio western (quello che alla fine vince il duello), è una pura eroina di film d'azione, di quelle che vorremmo tutte essere, almeno ogni tanto, di quelle che nessuno vorrebbe incrociare per strada.

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Quando Margarete (Maria Dragus), di cui sappiamo solo che sta facendo formazione in una società di sicurezza privata (dopo aver fallito l’esame di ammissione in polizia), la incontra per la prima volta, rimane colpita da questa sorta di boss al femminile che compare da dietro un’auto e distrugge l’ingombrante specchietto retrovisore con una grossa pedata in stile Fight Club (con tanto di effetti sonori, come tutte le varie zuffe che si succederanno nel film) prima di indicare a Maggie (alias Vanilla, per i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri) che ora ha spazio sufficiente per fare marcia indietro.  

Dopo varie apparizioni successive (un po’ magiche, sempre esaltanti per la libertà e l’esperienza della strada che suggeriscono) di Tiger, che la salva due volte di seguito da ragazzi un po’ troppo insistenti, Maggie è inevitabilmente galvanizzata. Timida, o meglio senza una grande personalità, si lascia dapprima trasportare nelle provocazioni della nostra eroina maledetta, che vive in un furgone con una banda di ragazzi di strada, prima di prendere la sua prima iniziativa: procurare un’uniforme a Tiger per andare in giro con lei, notte e giorno, nei luoghi che le appartengono e dove possono dettar legge, arrestando persone per spillar loro denaro, o anche solo per ridere del loro conformismo. Poco a poco, così come la sua mancanza di disciplina durante le lezioni, cresce il suo gusto per la violenza indiscriminata, senza che ci venga veramente spiegato il perché di tanta fame di aggressività tinta di sadismo – anzi, non lo sa neanche lei...

Questi "funny games", invece, non divertono per niente Tiger, e questo perché per lei la ribellione e i furti sono legati a una situazione di abbandono e di bisogno reale. Vanilla, dal canto suo, agisce in modo puramente gratuito – e la sua violenza non è alimentata, al contrario di quello che succede nell’inaccettabile The Dinner di Oren Moverman, selezionato in competizione, dall’emulazione di Internet. Non siamo neanche dalle parti di Haneke, che in Funny Games negava ogni possibilità di spiegare perché i suoi personaggi amavano tanto torturare gli altri: senza questi atti, Vanilla sarebbe completamente scialba, una conchiglia vuota pronta ad adottare un modello qualsiasi (all’inizio, quando dice di essere nella sicurezza "per aiutare", sta già facendo il pappagallo). Per questa giovane donna che non ha, per quanto ne sappiamo, né famiglia né amici, la violenza nasce da un richiamo del vuoto, da quel tipo di bisogno di esistere che hanno i soldati dei regimi totalitari, queste marionette cattive in uniforme che, credendo di acquistare importanza, non fanno che confermare il loro anonimato. Non a caso, l’ex collega poliziotto che la mediocre ragazza incrocia regolarmente durante il film non ricorda mai il suo nome. E sul cartellone del film, Vanilla non c’è.

Prodotto da Constantin Film, il film è venduto nel mondo da Picture Tree International.

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(Tradotto dal francese)

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