email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

BERLINALE 2018 Forum

Recensione: Premières solitudes

di 

- BERLINO 2018: Claire Simon punta la sua cinepresa sulla fragilità emotiva e spontanea di alcuni studenti delle scuole superiori della periferia parigina che discutono le loro esperienze

Recensione: Premières solitudes

Scarpe da ginnastica ai piedi, cuffie alle orecchie, apparecchi sui denti, passo incerto verso l'età adulta, un mondo dell’infanzia che si allontana ad alta velocità con il suo strascico di ricordi spesso nostalgici e talvolta dolorosi, un presente che fluttua tra domande un po’ angoscianti sul futuro e un panorama desolante di famiglie destrutturate, impantanate nella mancanza di comunicazione: avere 16-18 anni, a volte, è essere allo stesso tempo all'inferno e in paradiso.

E’ su una decina di giovani di questa età, al primo anno del liceo Romain Rolland di Ivry-sur-Seine, alle porte di Parigi, che la cineasta francese Claire Simon ha puntato la sua cinepresa in Premières solitudes [+leggi anche:
trailer
intervista: Claire Simon
scheda film
]
, un documentario toccante e giusto (anche nella banalità a volte di questo stadio dell'esistenza ancora relativamente protetto), scoperto nella sezione Forum del 68° Festival di Berlino.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

"È complicata, la vita!". Costruito con un dispositivo che registra, senza alterarla, la parola dei giovani che discutono fra loro, a due o tre per volta (eccetto la prima scena con l'infermiera della scuola), il film fa emergere lentamente il ritratto di una generazione stravolta soprattutto dalle sofferenze causate dalla dislocazione dei nuclei familiari (separazioni più o meno virulente con un'assenza totale di scambi, passando per i pasti consumati ciascuno per conto proprio, la madre davanti alla TV, la figlia davanti al suo iPad). Emergono anche, tra una discussione e l’altra, le problematiche del confronto precoce con la malattia mentale (la madre di un’adolescente è schizofrenica ed è stata internata in un ospedale psichiatrico - "e anche mio padre ha un sacco di problemi") , i confini sociali, linguistici e finanziari (con la capitale a due passi, così familiare eppure quasi irraggiungibile) o ancora i disturbi esistenziali legati all'adozione ("lei ha avuto pietà di me", ripete una ragazza proveniente dalla Nigeria dove da bambina ha lasciato parte dei suoi fratelli – con i quali mantiene i contatti – dopo una serie di drammi). Un quadro che potrebbe sembrare molto cupo (alcune scene sono particolarmente toccanti) così descritto, ma che non lo è perché la passione, la spontaneità, la freschezza della gioventù, e la condivisione delle loro diverse esperienze, placa ogni tormento.

Dai corridoi dove risuona la campanella alla terrazza della scuola che sovrasta l'intera città, passando per qualche fuga fuori dalle mura, Premières solitudes transita dall'inverno alla primavera, tendendo il suo specchio ad Anaïs, Catia, Clément, Elia, Lisa, Hugo, Judith, Manon, Mélodie e Tessa. Alcuni si concedono più di altri, e la naturalezza delle conversazioni è inevitabilmente disomogenea in funzione delle personalità, ma molti volti rimangono facilmente impressi con grande forza, come portabandiera della gioventù contemporanea e dell’eterna adolescenza. Un'istantanea che traccia ricordi (buoni e cattivi) e sottolinea l'importanza dello scambio, per quanto semplice sia, e dell'amicizia. Un passaggio necessario perché, come sottolinea uno dei protagonisti, "quello che è stato è stato, dobbiamo cercare di costruire un presente migliore".

Prodotto da Sophie Dulac Productions e coprodotto da Carthage Films, Premières solitudes è venduto nel mondo da Wide House.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy