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VENEZIA 2018 Settimana Internazionale della Critica

Recensione: Tumbbad

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- VENEZIA 2018: Il primo film indiano (di coproduzione svedese) ad aprire la SIC è una pellicola d’avventura, che per adattarsi al modello hollywoodiano, rinuncia alla sua essenza

Recensione: Tumbbad
Sohum Shah in Tumbbad

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di Rahi Anil Barve e Adesh Prasad, primo film indiano (in coproduzione cinematografica con la Svezia) ad aver mai aperto la Settimana internazionale della Critica di Venezia, in proiezione speciale, ha tutti gli ingredienti per essere una pellicola d’avventura per famiglie e di gran successo: un racconto fiabesco, un tesoro leggendario, una maledizione che si tramanda di padre in figlio, una villa imponente e inquietante (il castello di Tumbbad), mostri disgustosi, viscidi dalla testa ai piedi e con degli artigli lunghissimi, sotterranei terrificanti, scene di combattimento...

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Questa pellicola ricca di effetti speciali, dietro i quali si percepisce il tocco di qualità hollywoodiano da un punto di vista di produzione e post-produzione (l’effetto delle scene terrificanti è per esempio incrementato dal lavoro degli effetti sonori, dai rumori molli e umidi ai suoni stridenti), rinvia peraltro a una serie di distinte produzioni americane: Il Trono di Spade per l’ambientazione medievale (tutta la prima scena, talmente efficace da fornire un elemento contestuale importante sulla posizione di sottomissione femminile nell’universo del racconto, rievocherebbe più o meno anche The Handmaid’s Tale), la saga di Indiana Jones ogni qualvolta ripercorriamo i sentieri pieni di trappole verso ciò che si nasconde nei sotterranei della villa... Dunque, tutti gli ingredienti sono ben presenti e anche a volontà. Tuttavia, la mancanza di elementi di novità e l’unione dei motivi religiosi con una fotografia che aderisce (troppo) impeccabilmente agli standard hollywoodiani, non è corroborata da una sceneggiatura ben realizzata che mantenga vivo l’interesse dello spettatore e che gli riesca ad offrire, in aggiunta, qualche sorpresa. È vero che il nocciolo della questione (annunciato all’inizio da una voce fuoricampo) è una maledizione ciclica, ma anche tra la scoperta di un demone di Tumbbad a un’altra, la storia si ripete.  Così la “morale” del racconto (ovvero che sostanzialmente la cupidigia non porta a niente di buono), sebbene poco originale, non è il risultato di una dimostrazione: bensì è identica dall’inizio alla fine.

Un elemento verosimile e singolare intorno al quale il film si sarebbe potuto sviluppare è abbastanza abbozzato, ma in maniera incompleta: infatti, è presente in Tumbbad un tentativo di presentare parallelamente alla storia della maledizione, la Storia dell’India. Tuttavia, quest’ultima appare incompleta e abbastanza imbarazzante, come anche la tematica abbozzata su quella società patriarcale e la posizione della donna, nonostante quegli elementi fossero già presenti. Insomma, rimpiangiamo il fatto che l’essenza indiana del film, che avrebbe potuto avere la sua rilevanza particolare, si perda nella foresta di sentieri già battuti oltreoceano (e quel poco di India che vediamo, come l’abitazione del protagonista, corrisponde a un’immagine già conosciuta) e nella volontà di compiacere il pubblico internazionale, per quanto il film sia meticolosamente ideato e visivamente spettacolare.  

Tumbbad è prodotto dalla società indiana Colour Yellow Films con le svedesi Filmgate Films e Film i Vast. La distribuzione internazionale del film è fornita da Eros International.

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(Tradotto dal francese da Carlotta Cutrale)

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