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VENEZIA 2018 Orizzonti

Recensione: The River

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- VENEZIA 2018: Presentato nel programma della competizione Orizzonti di quest'anno, il nuovo film di Emir Baigazin è uno dei titoli più visivamente stravaganti della sezione

Recensione: The River

Il regista e sceneggiatore kazako Emir Baigazin ha affascinato il pubblico dei festival cinematografici negli ultimi anni con i film Harmony Lessons [+leggi anche:
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, che facevano parte di una trilogia un po’ dark che trattava di omicidio – ma se nei primi due film, i personaggi erano effettivamente colpevoli, il lungometraggio che completa la trilogia si ferma all'intenzione di commetterlo. Presentato nel programma della competizione Orizzonti alla 75ma Mostra del Cinema di Venezia, The River [+leggi anche:
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può essere facilmente considerato uno dei titoli più visivamente stravaganti della sezione, confermando Baigazin come un audace cineasta d'autore.

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In un remoto villaggio kazako vive una famiglia con cinque figli. Il loro padre severo e, a volte, violento mette il figlio adolescente alla guida dei suoi quattro fratelli più piccoli, e li sorveglia nelle loro faccende quotidiane, che comprendono la costruzione di un granaio e la cura del bestiame. Aslan è un leader più gentile verso i suoi fratelli di quanto non sia suo padre, e perdona i loro errori. Mentre il film diventa sempre più surreale, il giovane li conduce al fiume, che sembra cambiare le loro vite. Dopo aver fatto qualche bracciata nelle sue scintillanti, incantate onde blu-verdi, non possono fare a meno di tornarci più volte. Inoltre, il modo in cui svolgono le loro faccende quotidiane è completamente trasformato, fino a quando un misterioso visitatore, Kanat, non arriva nel villaggio, portando un tablet contenente dei videogiochi che tengono i più piccoli lontani dallo sguardo del fratello.

Baigazin ha per la prima volta non solo scritto e diretto il film, ma ha anche lavorato come direttore della fotografia. Nelle sue mani, The River diventa una delizia per gli occhi, e mostra un senso elegante ma sottile per la composizione, le tonalità blu e beige sognanti, le ampie inquadrature in widescreen e i movimenti di macchina di bell'effetto. Le immagini del film indicano una storia al confine tra il mondo reale e quello mitologico, tra il regno del simbolico, qualcosa di simile all'inconscio collettivo e alcuni dettagli molto concreti del mondo globalizzato di oggi – come la cultura popolare e la tecnologia che invadono pacifici, rurali, vite tradizionali al di fuori della civiltà occidentale.

È difficile dire dove andrà una premessa intrigante come questa. L'arrivo di Kanat – che porta l'unico cenno di uno specifico periodo di tempo a un racconto altrimenti astorico – in quello che risulta essere un rifugio dai pericoli esterni, funziona come una presenza profondamente dirompente. Dobbiamo considerarlo come una sorta di avvertimento contro i progressi della società, attraverso un'idealizzazione un po' miope della tradizione rurale? Oppure gli elementi del film indicano qualcos'altro? Forse una presenza ambigua, che in alcuni casi funge da forza distruttiva e in altri rispecchia le convenzioni profondamente radicate nella nostra percezione del mondo. The River non si presta a risposte facili, e questo è il suo più grande difetto ma anche il suo punto di forza: può funzionare molto efficacemente come riflesso della mente di chi guarda, proprio come sulla superficie luccicante di un fiume, dove ciascuno otterrà un riflesso esatto di ciò che desidera vedervi.

The River è una coproduzione kazako-polacco-norvegese-olandese guidata da Norsk FilmproduksjonMadantsLudmila Cvikova C&P e Emir Baigazin Production.

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(Tradotto dall'inglese)

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