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LA ROCHE-SUR-YON 2018

Recensione: Ceres

di 

- L'artista olandese Janet van den Brand firma una bellissima opera prima con il suo documentario poetico e realistico sui bambini contadini

Recensione: Ceres

"Non c'è inizio né fine, il sole sorge e tramonta ogni giorno, e le stagioni vanno e vengono, e i giorni, i mesi e gli anni passano attraverso il sole, la pioggia, la grandine, la neve e il gelo... Le fattorie e le mandrie sopravvivono, più grandi della vita di una singola persona". Questa citazione da Une vie de berger di James Rebanks Pastore apre il documentario Ceres [+leggi anche:
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scheda film
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, il primo lungometraggio dell’olandese Janet van den Brand, scoperto in anteprima francese al 9° Festival Internazionale del Film di La Roche-sur-Yon, un'immersione al contempo ruvida e trasfigurata nel cuore dei cicli della natura nel sud-ovest dei Paesi Bassi. Perché nella scelta di affrontare questo mondo bucolico attraverso la prospettiva di quattro figli di contadini, di una decina d’anni di età, il regista ha trovato un ottimo modo per ritrarre sia la durezza della vita quotidiana dell’agricoltore che il fascino bucolico e la profondità della vocazione per una vita di questo tipo.

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Koen e il suo amore smodato e toccante per gli animali (maiali e mucche), Daan che impara a uccidere e sezionare il pollame, a raccogliere patate e cereali, Sven che solca la proprietà sul suo quad e osserva l'eventualità di una grandine capace di annientare pere e mele in dieci minuti, Janine che si prende cura del gregge di pecore di famiglia: i quattro bambini del film sono cresciuti cullati dalla natura, conoscono perfettamente il ritmo delle stagioni ("perché esiste l'inverno? Chi l'ha inventato? E’ davvero triste, noioso) e arrivano a un'età in cui sono pienamente consapevoli che prenderanno il posto dei genitori ("a scuola non parlo della fattoria, non interessa a nessuno"). E se hanno ancora la patina della loro età (Janine e la sua passione per lo smalto per le unghie, i giochi sulla paglia, i bagni, la bicicletta in estate, ecc.), l'ambiente serio della fattoria aleggia su tutte le loro attività ludiche: serata rodeo pick-up, caccia, conoscenza molto approfondita delle macchine agricole ("la prima volta che ho guidato un trattore, è stato fantastico"), il meteo sui computer portatili per anticipare il maltempo o sperare che la siccità cessi, sogni di spazi aperti nordamericani e australiani, spot televisivi per mietitrebbiatrici, ecc.). Per non parlare dell'accettazione della vita e della morte ("se vuoi essere un contadino, devi sapere come dire addio agli animali").

Oltre all'interessante angolo privilegiato da Janet van den Brand che ha scelto i suoi amabili personaggi molto bene e abilmente alterna le loro testimonianze e i momenti della loro vita quotidiana, dipingendo così un'immagine oggettiva della vita della fattoria in tutte le sue sfaccettature, senza drammatizzare né occultare gli aspetti più crudi, Ceres riesce a creare un'ambientazione che esalta la bellezza della natura in tutte le sue forme (fremiti di foglie al vento, volo di nuvole di uccelli, carezze del sole sui campi, ecc.). Una miscela poetico-realistica ben riuscita che mette in evidenza un bellissimo senso dell’inquadratura (con Timothy Joshua Wennekes alla fotografia) e le atmosfere musicali (di Harrold Roeland) per un cineasta ovviamente dotato di cui si spera che in futuro declini le sue qualità anche nella fiction.

Svelato a Berlino nel programma Generation Kplus, passato per Visions du Réel e Hot Docs, nominato come miglior documentario agli Ensor e menzione speciale in competiione nazionale al Brussels International Film Festival, Ceres è stato prodotto dai belgi di Diplodokus e coprodotto da Tangerine Tree, Belga Productions e Evangelische Omroep. Le vendite internazionali sono guidate dai britannici di Taskovski Films.

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(Tradotto dal francese)

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