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FILM Italia / Francia / Cile

Recensione: Santiago, Italia

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- Dopo aver chiuso il 36° Torino Film Festival, arriva nelle sale italiane il doc di Nanni Moretti sul Cile, che rievoca con sobrietà e partecipazione il golpe del 1973 per raccontare l’Italia di oggi

Recensione: Santiago, Italia

“Era un paese innamorato di Allende e di ciò che stava succedendo. Era fantastico, era giusto, era bello”. Parte dal triennio dell’utopia socialista di Salvador Allende, qui nelle parole del cineasta Patricio Guzmán, la ricostruzione che Nanni Moretti fa del colpo di Stato in Cile del 1973 nel suo documentario Santiago, Italia [+leggi anche:
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, film di chiusura del 36° Torino Film Festival. Ma come suggerisce il titolo, il regista di Il caimano [+leggi anche:
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rievoca quei drammatici giorni in cui il paese sudamericano passò brutalmente dalla democrazia alla dittatura per parlare in realtà di noi, dell’Italia dei nostri giorni, o meglio di quello che eravamo e di quello che siamo diventati, davanti a chi fugge dalle guerre. 

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Operai, professori, giornalisti, artigiani, traduttori, diplomatici, registi: è un mosaico di testimonianze variegato quello che compone Moretti, in un flusso narrativo di voci che si intrecciano con materiali d’archivio e si amalgamano in un unico racconto, rigoroso e vivo, di quei giorni in cui i cittadini cileni videro qualcosa fino ad allora inimmaginabile: i militari del loro paese sganciare bombe sul palazzo del proprio governo, con dentro il loro amato presidente democraticamente eletto. Segue il ricordo delle persecuzioni, delle torture con scariche elettriche ai genitali e di episodi folli, come quello raccontato dalla giornalista Marcia Scantlebury di quando la sua torturatrice, incinta, le chiese di aiutarla a fare un golfino per il suo bebè, e si ritrovò con i ferri in mano sapendo di poter essere ammazzata da un momento all’altro – e oggi riesce persino a riderci sopra.

Il cuore del racconto, però, arriva più o meno a metà film, quando entra in scena l’ambasciata italiana, una delle poche rimaste aperte a Santiago dopo il golpe, e i rocamboleschi salti del suo muro di cinta da parte di centinaia di cileni terrorizzati intenzionati a chiedere asilo. “Non entravano in maniera normale. Arrivavano e saltavano dentro”, ricorda il diplomatico Piero De Masi, “il mio ministero non mi diede istruzioni, così decisi di tenerli tutti”. Quel muro alto due metri, i mattoni tolti qui e là per creare una specie di scaletta, le camminate attorno all’ambasciata in attesa del momento giusto per saltare, e i bambini in fasce portati alti sopra la testa perché qualcuno, prima o poi, da dentro allungasse una mano e li prendesse, sono di quelle immagini che non vedi, ma che ti si scolpiscono nella testa. 

Infine, il viaggio in Italia. Centinaia di rifugiati politici cileni furono accolti nel nostro paese, trovarono il calore e il sostegno sia dei partiti politici che della gente comune, vennero dati loro dei soldi e un lavoro, in particolare nella cosiddetta Emilia rossa, dove il 70% dei cittadini votava per il PCI. “L’Italia del ’73 era un paese meraviglioso”, dice Rodrigo Vergara, traduttore. “Sono arrivato in un paese che era molto simile a quello che sognava Allende in quel momento lì”, conferma l’imprenditore Erik Merino, “oggi vedo che l’Italia assomiglia sempre di più al Cile, nelle sue cose peggiori”.

A qualcuno il paragone con l’attuale crisi migratoria potrà sembrare forzato: sono diversi i numeri, diverse le ideologie. Resta però il fattore umano: si esce da Santiago, Italia con il cuore che scoppia perché quella solidarietà istintiva sembra oggi appartenere a un altro mondo, e ricordarla è più che mai necessario. “Io non sono imparziale”, dice Moretti in un emblematico fuoricampo a un militare cileno, tuttora in carcere, che gli contesta la scarsa obiettività della sua intervista. Lo spettatore lo sa, e per questo lo ama. 

Santiago, Italia, è prodotto da Sacher FilmLe Pacte con Rai Cinema e Storyboard Media (Cile), ed è distribuito nelle sale italiane da Academy Two dal 6 dicembre.

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