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BERLINALE 2019 Panorama

Recensione: Selfie

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- BERLINO 2019: Contro una narrazione romantica della criminalità, Agostino Ferrente firma un doc su un quartiere difficile di Napoli girato dagli stessi giovani protagonisti con uno smartphone

Recensione: Selfie

“Non mi piace il posto dove vivo, troppa gente sporca”. Alessandro, 15 anni, lavora come cameriere in un bar. Il posto dove vive è il Rione Traiano di Napoli, dove puoi trovare qualunque tipo di droga. Il suo miglior amico è Pietro, 16 anni, non ha lavoro e vorrebbe fare il barbiere, 119 kg portati con leggerezza, sorriso aperto. Ha perso 3 cugini, uccisi sulla tangenziale. Entrambi erano amici di un ragazzo di 17 anni, Davide, che una sera correva in motorino ed è stato ucciso da un carabiniere che lo ha scambiato per un latitante in fuga.  Sono i due protagonisti di Selfie [+leggi anche:
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di Agostino Ferrente, selezionato in Panorama a Berlino 2019. Come si può intuire dal titolo, il regista (autore del premiatissimo L’orchestra di Piazza Vittorio [+leggi anche:
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) ha consegnato ai ragazzi due smartphone per auto-raccontarsi in video-selfie, e ha successivamente montato il materiale. E’ interessante notare che nel Concorso ufficiale della Berlinale di quest’anno il film italiano è La paranza dei bambini [+leggi anche:
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intervista: Roberto Saviano
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di Claudio Giovannesi, dal romanzo di Roberto Saviano, che parla di sei quindicenni armati alla conquista del Rione Sanità a Napoli. Un film lontanissimo per stile e intenti da Selfie ma che rivela un’esigenza da parte degli autori italiani di esplorare ancora i territori delle Gomorra italiane e i suoi riflessi sulle nuove generazioni. 

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A ribaltare lo stereotipo corrente di una narrazione malavitosa “romantica”, in Selfie c’è un momento esplicito, in cui i due protagonisti discutono sul taglio da dare al racconto. Alessandro vuol mostrare solo le cose belle del quartiere, Pietro non vuole risparmiare le brutture.  Per entrambi c’è il sogno di riscatto dal degrado di una società che si identifica nell’illegalità.  I due amici registrano i loro lampi di quotidianità.  Si chiedono se fare la lampada per abbronzarsi dà più possibilità di trovare una ragazza. Vanno a fare il bagno a Posillipo, “potremmo mai avere una casa qui?” sospirano. Vanno a trovare il padre del ragazzo ucciso. I media hanno trattato il caso con superficialità e molti napoletani stanchi della criminalità hanno mormorato “uno di meno”.  Il regista lascia ai ragazzi lo sguardo sul grave fatto di cronaca ed è intorno alla morte che ruota quel mondo. Analogamente, Roberto Minervinicon il suo documentario in concorso a Venezia 2018 What You Gonna Do When The World’s On Fire? [+leggi anche:
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si era interessato alla serie di brutali uccisioni di giovani afroamericani da parte della polizia negli USA). Nei frammenti di casting, Checco, 19 anni, dice “lo spaccio sono soldi facili ma finisci in galera o ammazzato dalla concorrenza”. Un’altro ama le armi, parla di Glock, di calibro 38, 9X21, di 375, “la mia preferita”. Esercizi di un machismo che nasconde paura. All’opposto le ragazze, trucco da adulte, lanciano messaggi rassicuranti alle famiglie (e agghiaccianti per lo spettatore): “Non mi piace vivere qui, ma se il mio futuro marito dovesse andare in carcere per dieci anni, lo aspetterei senza tradirlo”.

La cosa affascinante di Selfie non è l’uso in sé di un portatile per girare (Unsane dello sperimentatore Steven Soderbergh è stato lanciato alla Berlinale 2018 come “il primo thriller girato con l’iphone”) a cui Ferrente aggiunge immagini fisse da videocamere di sorveglianza con un montaggio asciutto e rapido. Ma è piuttosto l’evidenza di una trasformazione della forma-cinema, dovuta all’innovazione del linguaggio, che va verso una poetica tecnologica in cui il corpo che recita se stesso è un elemento costitutivo del testo drammaturgico.

Prodotto da Magneto in coproduzione con Arte Francia e con l’italiana Casa delle VisioniRai Cinema, Selfie è venduto da Deckert Distribution.

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