email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

BERLINALE 2019 Panorama

Recensione: Talking About Trees

di 

- BERLINO 2019: Il regista sudanese Suhaib Gasmelbari ripercorre l’avventura eroica di quattro anziani cineasti che vogliono riportare il cinema in un Paese in cui vigono rigide leggi islamiche

Recensione: Talking About Trees

Riportare il cinema in Sudan. E’ l’obiettivo che si sono posti Ibrahim, Suleiman, Manar e Altayeb, amici da oltre 45 anni. Restituire il cinema a un Paese in cui non esistono più sale in attività, dove i bambini non conoscono nemmeno l’espressione “andare al cinema”. Vuol dire fisicamente ricreare le strutture, reinventare quello che nella maggior parte del mondo libero è dato per scontato: un’arte e un’industria che sono nate, si sono sviluppate e hanno attraversato crisi e momenti esaltanti ormai per oltre un secolo. Talking About Trees [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
del regista sudanese Suhaib Gasmelbari al suo primo lungometraggio, selezionato nella sezione Panorama della Berlinale e vincitore del Premio del miglior documentario del festival, ripercorre quest’avventura emozionante ed eroica, ma anche ricca di humour. 

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ibrahim, Suleiman, Manar e Altayeb non sono persone qualsiasi.  Lasciarono la loro patria negli anni '60 e '70 per studiare cinema all'estero e fondarono il Sudanese Film Group nel 1989. Dopo anni di distanza e di esilio, si riunirono, sperando finalmente di realizzare il loro vecchio sogno. Ibrahim Shadad, il più radicale dei quattro,ha studiato regia negli Anni 60 nella RDT al Filmuniversität Babelsberg Konrad Wolf. Molti dei suoi progetti sono stati banditi in Sudan. Ha trascorso anni in esilio in Egitto e in Canada prima di tornare. Manar Al Hilo, diplomato all'Istituto superiore per il cinema del Cairo nel 1977, si è sempre dedicato alla produzione di tutti i film dei suoi amici girati in Sudan. Suleiman Mohamed Ibrahim, la forza trainante del gruppo, ha studiato documentario al VGIK Institute of Cinematography di Mosca. Un suo cortometraggio è stato premiato al Moscow IFF 1979. Rifiutò di andare in esilio dopo il colpo di stato militare del 1989. Infine Al-Tayeb Mahdi, uomo di poche parole, si è diplomato al Cairo Higher Institute for Cinema nel 1977. Ha diretto cortometraggi artisticamente e politicamente coraggiosi.

Nel prologo di Talking About Trees i quattro sono a lume di candela, la società elettrica nazionale ha staccato l’elettricità nella zona, quasi una metafora della negazione del cinema, che è luce. Le immagini si spostano su uno studio radiofonico. Ibrahim afferma che il cinema è un eroe “che può morire di morte naturale o essere ucciso da un traditore”. La polemica con il regime dittatoriale islamico è aperta, l’amore per la settima arte è profondo. In giro con un furgoncino scalcinato, arrivano al tramonto nelle piazzette dei villaggi, attaccano un telo sul muro. Bambini, donne e uomini arrivano e si siedono sulle sedie, in questo cinema improvvisato. Parte il proiettore, Tempi moderni di Charlie Chaplin, i bambini ridono. Il loro sogno però è proiettare in un grande e fatiscente teatro-cinema all’aperto da 5000 posti a  Khartoum.  “Niente sponsor o pubblicità, niente discorsi o ministri del governo”. Il proprietario del teatro (che si chiama Revolution Cinema) li autorizza a restaurarlo.  Bisogna chiedere l’autorizzazione al comune ma anche al National Intelligence and Security.  Scrivono al ministero della Cultura sul “mutuo interesse a rivitalizzare il cinema per attrarre i giovani”. Intanto bisogna trovare un proiettore da 10,000 lumen e uno schermo. Poi bisogna individuare cosa vuol vedere il pubblico, si fa un sondaggio. Si decide per Django Unchained diQuentin Tarantino. La Sicurezza Nazionale pone nuovi ostacoli, l’autorizzazione rimbalza alla “polizia della moralità” e alla “sicurezza politica”. Intanto il presidente Omar Al-Bashir viene riconfermato con il 94,5% dei voti a favore. Ha vinto ancora il Potere politico e religioso.

Il documentario è prodotto da AGAT Films & Cie (Francia) in associazione con Sudanese Film Group e in coproduzione con Goï Goï Productions (Tchad), Made in Germany Filmproduktion (Germania), Vidéo de Poche (Francia), Doha Film Fund (Qatar).

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy