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CPH:DOX 2019

Recensione: The Reformist

di 

- La fascinazione di Marie Skovgaard per la donna dietro la prima moschea europea gestita da imam femminili è contagiosa

Recensione: The Reformist
Sherin Khankan in The Reformist

Se c’è una cosa di cui beneficia moltissimo il film di Marie SkovgaardThe Reformist [+leggi anche:
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, titolo di apertura all’edizione di quest’anno del CPH:DOX (20-31 marzo), è la scelta della protagonista. Dopo esser stata al centro di una marea di prime pagine internazionali, a cui si fa comprensibilmente riferimento anche qui, era solo una questione di tempo prima che l’attivista danese Sherin Khankan ottenesse un film tutto suo. Ed è un vero peccato che tale film – presentato nella sezione DOX:Award insieme ad altri 12 titoli, compresi The Rest [+leggi anche:
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 di Ai WeiWeiSwarm Season di Sarah J. Christman – continui a destreggiarsi sulla superficie piuttosto che impegnarsi davvero a, o almeno cercare di, comprendere la scelta sorprendente di una donna che fronteggia deliberatamente un sistema che non ha alcun desiderio, tanto meno alcun evidente bisogno, di cercare il benché minimo confronto.

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Sebbene la decisione di aprire la prima moschea in Europa gestita da imam donne, tra cui lei stessa, fosse una mossa rischiosa, non si è fermata: quando Khankan iniziò a celebrare matrimoni interreligiosi tra donne mussulmane e uomini non mussulmani, ha visto allontanarsi anche le persone più vicine alla sua causa. Il film di Skovgaard lo illustra piuttosto bene, poiché invece della narrazione del “noi” contro “loro”, si evolve presto in una storia ben più complessa, fatta di collaboratori negletti che non sono d’accordo con le sue decisioni affrettate e, tra le righe, affatto contenti della sua recente fama.

Una fama che si comprende perfettamente: con il suo aspetto straordinario da portavoce della Neutrogena e una soave abilità oratoria, Sherin impressiona allo stesso modo di quel tipo di modella che le riviste patinate bramano, il proverbiale “prodotto completo” capace di vendere qualsiasi messaggio sulla terra. Almeno a un certo pubblico, dato che la sua interpretazione femminista dell’Islam – per non parlare del rifiuto chiaro e tondo di coprirsi i capelli in pubblico, optando invece per un “velo interiore” – viene subito accolta con un sorrisetto accondiscendente, e poi con aperta ostilità. E per quanto Skovgaard non sia propriamente cieca rispetto ai suoi difetti (Khankan viene mostrata come una leader impetuosa, per usare un eufemismo, e non esattamente come una persona capace di fare squadra), è chiaramente affascinata dal suo percorso e dalla sua chiara incapacità di fermarsi. Inutile dire che quando alla fine è costretta al compromesso davanti alla richiesta di un uomo di celebrare il suo matrimonio gay, prenderà comunque parte alla cerimonia.

Gli sguardi alla sua vita privata sono scarsi però, e sembrano un po’ forzati: Khankan è più a suo agio a parlare di religione piuttosto che della propria situazione personale. Divorziata con quattro figli, è prevedibilmente più propensa a garantire il divorzio alle donne che cercano di scappare da mariti violenti rispetto alle proprie “colleghe” conservatrici, ma la menzione del matrimonio felice dei suoi genitori – un mussulmano siriano e una finlandese cristiana – riesce a toccare un tasto dolente. Detto ciò, il film stesso risulta un po’ una semplice occhiata, come le interessanti ma poco approfondite interviste mostrate. Ma dato che Khankan sottolinea ripetutamente il bisogno di “crescere nel suo ruolo” gradualmente, forse è più che giusto che Skovgaard la mostri nella sua fase di riscaldamento: una riformista in corso d’opera, se vogliamo.

The Reformist è stato prodotto da Jesper Jack, del gruppo danese House of Real. Le vendite internazionali sono affidate a First Hand Films World Sales.

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(Tradotto dall'inglese da Gilda Dina)

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