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VENEZIA 2019 Settimana Internazionale della Critica

Recensione: Bombay Rose

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- VENEZIA 2019: L'audace animazione di Gitanjali Rao dall'India sull'amore proibito ha aperto la Settimana Internazionale della Critica

Recensione: Bombay Rose

È la tecnica d’animazione a essere pazzesca in Bombay Rose [+leggi anche:
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di Gitanjali Rao, che apre la Settimana internazionale della critica alla Mostra internazionale d’arta cinematografica di Venezia. Con un ritorno all’era pre-digitale (oggi si ha l’impressione che l’era analogica fosse ai tempi dei dinosauri sulla Terra), ogni singola inquadratura del suo film d’esordio è un dipinto a mano.

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Lo stile d’animazione cambia addirittura in base all’epoca e all’ambientazione rappresentate nel film. Per esempio, sugli schermi del cinema che proiettano film bollywodiani per spettatori chiassosi, l’eroe sullo schermo ha caratteristiche mascoline ingombranti. È facile immaginare che Otto Dix disegnerebbe così i fumetti. C’è uno stile ardito e scorrevole, con un sacco di arancione e rosso utilizzato per mostrare le strade di Bombay ai giorni d’oggi. Ancor più notevole è che, quando il film torna indietro ai tempi passati, il colore si esaurisce al bianco e nero, e gli edifici si staccano dallo schermo come se un bambino stesse togliendo adesivi da un collage. Non stupisce che la regista abbia impiegato sei anni a farlo.

Straordinariamente Rao è un’animatrice e regista autodidatta, emersa sul palcoscenico internazionale quando il suo corto animato Printed Rainbow venne proiettato in anteprima alla Settimana della critica a Cannes nel 2006. Printed Rainbow fu poi selezionato per l’Oscar nel 2008.

Suo malgrado, la narrazione che accompagna le esuberanti immagini non è così eccezionale. Bombay Rose risulta incompleto, anche dopo sei anni di sforzi. Forse è inevitabile in un film che usa una rosa rossa per collegare tre storie di amore proibito nella vibrante e frenetica città. Detto ciò, Rao dovrebbe essere elogiata per aver affrontato grandi temi: l’amore tra un’induista e un musulmano, l’amore tra due donne e quello di una città per il suo cinema. Quest’ultimo è quello per cui Rao è più sprezzante: il film si chiede se il cinema possa davvero fornire una scappatoia dalle oscure realtà della repressione. In una sequenza piuttosto suggestiva gli eroi dello schermo rompono la quarta parete, ma possono davvero fare miracoli nella vita reale? Queste scene sono delizie più che benvenute in un racconto che non afferra la complessità mostrata nella vita dei personaggi.

Il maggior successo sta nell’abilità con cui Rao ha creato un inno di lode a Bombay. Non vuole dipingere il mondo con petali di rosa, bensì vuole disvelarne le spine. Bigotti religiosi, delinquenti e truffatori ronzano attorno al mercato dove lavora un’ex ballerina di danze esotiche, Kamala (doppiata da Cyli Khare). Un giovane musulmano del Kashmir, Samil (Amit Deondi), è affascinato da Kamala e cerca di farle la corte. Questa storia d’amore, schiacciata dalle divisioni religiose, è la più forte dei tre racconti. Il film fa anche un forte uso di sequenze di canto estese, musicate da Swanand Kirkire. Semmai il suo errore è stato avere troppe idee: per questo, come nel caso dei fallimenti, è totalmente perdonabile.

Bombay Rose è una produzione anglo-indo-franco-qatariota messa in scena da Cinestaan Film Company, e coprodotto da Les Films d'Ici e Goldfinch Entertainment.  I suoi produttori sono Rohit Khattar e Anand Mahindra, con Charlotte Uzu e Serge Lalou come coproduttori. Deborah Sathe e Tessa Inkelaar sono le produttrici esecutive.

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(Tradotto dall'inglese da Gilda Dina)

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